Sono state oltre 400 milioni le visualizzazioni per l’hashtag #deinfluencing su TikTok. Il fenomeno, partito dal mondo beauty, sta influenzando ogni categoria e vorrebbe mettere luce, anche, su tutte le pratiche di utilizzo dei social. Non sono quindi presi di mira solo gli acquisti e i prodotti, ma anche gli stili di vita che vengono proposti, spesso non veritieri. Ecco perché il successo: la ‘denuncia’ è rivolta all’immagine di sé che viene comunicata, e a quel lifestyle eccessivo, fatto di lusso e sfarzo, mostrato ripetutamente. Il fine è quello di incentivare l’accettazione di sé, del proprio corpo, dei propri difetti, per mostrare come si è davvero, senza ritocchi e senza preoccupazioni di giudizio. Tecnicamente, un influencer può condizionare una larga fetta di pubblico a consumare determinati prodotti oppure a frequentare locali di un certo tipo, guadagnando ovviamente dai social e sfruttando tutto il potere dei propri follower. I deinfluencer invece fanno esattamente l’opposto: spiegano al pubblico perché non dovrebbero usare alcuni prodotti presenti sul mercato, un trend che si sta sviluppando soprattutto nel mondo del beauty e del make-up. Deinfluencing appunto, perché connota il fenomeno opposto di quello che fanno gli influencer, ovvero suggerire ai propri follower di acquistare qualcosa che loro consigliano (e per cui spesso sono retribuiti). Le deinfluencer sono diventate virali su TikTok dall’inizio del 2023 come risposta a questa smodata ricerca di click suggerendo agli utenti cosa non comprare, quali tendenze non seguire, ma anche come smascherare le recensioni più disoneste, offrendo spesso alternative più economiche e di nicchia ai cosmetici più famosi e lussuosi. La controtendenza arriva dagli Stati Uniti, dove numerose creator hanno iniziato a usare l’hashtag #deinfluencergang. La beauty influencer Mikayla Nogueira, 14,4 milioni di follower su TikTok, è stata accusata dai suoi fan di essersi applicata delle ciglia finte durante un video che sponsorizzava un mascara. Questo #MascaraGate è tra le cause scatenanti della polemica sulla pubblicità ingannevole dei creator sui social network. “Come con le reazioni negative alle pubblicità photoshoppate sulle riviste e all’abuso di facetuning per i selfie, le persone non ne possono più – spiega a Wired, Charlotte Palermino amministratrice delegato del brand di skincare Dieux di Brooklyn – . Essere bombardati di suggerimenti è stancante. Sentirsi dire che ogni prodotto è miracoloso è stancante. Qualche anno fa TikTok era autentico perché non era una cosa seria. I brand non investivano granché nei creatori di contenuti e quindi era semplicemente uno spazio divertente dove non c’erano pressioni, mentre ora la pressione è alle stelle”. E questo è stato causato dal lancio di TikTok Shop, una funzione che consente agli utenti di effettuare acquisti direttamente sull’app senza essere re-indirizzati a un rivenditore esterno. Proprio il caso Mikayla Nogueira ha stimolato la riflessione sull’integrità delle recensioni fornite (pagate dai brand) e sul reale utilizzo di quei cosmetici nella loro vita reale. Grazie a questo tipo di collaborazioni, l’anno scorso l’industria dell’influencer marketing ha raggiunto un business di oltre 16 miliardi di dollari (secondo i dati di Influencer Marketing Hub). Proprio con l’intento di recuperare credibilità, su TikTok è diventato virale il fenomeno dei deinfluencer.
CHI PRIMA ARRIVA…
La prima ad utilizzare il termine nel 2020 è stata proprio un’influencer, Maddie Wells, ex dipendente di Sephora, che, parlando dei prodotti più restituiti dalle clienti in negozio, e facendo recensioni su articoli di make-up, ha iniziato a pensare al deinfluencing, postando video da oltre 2 milioni di views. Dopo di lei, in molte l’hanno imitata. E tra chi recensisce negativamente prodotti del mondo del beauty e dello skincare c’è chi suggerisce delle alternative più economiche e magari più efficaci. Ad esempio Alyssa Kromelis (@ alyssastephanie) 154,2 milioni di follower su TikTok, ha spopolato per la sua rubrica ‘Don’t buy it’ e ha superato i 5,5 milioni di visualizzazioni con un video dal titolo ‘Prodotti cult su TikTok che odio’. Nei suoi video, infatti, oltre a farsi porta-voce tra i deinfluencer, propone contenuti a tema skincare e cura della persona in generale, offrendo alternative migliori rispetto ai soliti prodotti sponsorizzati. Anche Valeria Fride (@valeriafride) 20,2 milioni di follower su TikTok, con un video in cui diceva ‘Non comprate nulla di quello che vedete qui’, uno dei suoi video più popolari, che ha ottenuto oltre 1,5 milioni di visualizzazioni, si rivolge ai followers con la sigla ‘Let me deinfluence you, beauty edition’, prendendo di mira alcuni bestseller come i prodotti per capelli Olaplex. Pioniera in questo senso in Italia è stata Clio MakeUp che, come da lei stessa raccontato in un video pubblicato qualche mese fa sul suo profilo Instagram, aveva iniziato la sua carriera parlando sinceramente al pubblico delle sue idee in merito ad alcuni tipi di prodotti relativi al settore beauty. Come lei, anche Adriana Spink (@ adrianaspink) con 630,9 milioni di follower su TikTok, ha superato 4,4 milioni di visualizzazioni con un video dal titolo ‘Prodotti beauty che non ricomprerei più!’. In Italia è molto popolare anche l’Influencer Onesta (@influenceronesta), alias Andreea Tolomeiu, che su TikTok con 258,7milioni di follower, prova prodotti famosi e super- consigliati e fa recensioni, così da testarli prima di tutti ed evitare ad altri di acquistarli. Il suo essere ‘onesta’, di nome e di fatto è legato proprio ai commenti che fa su certi articoli skincare. La strategia che porta avanti è quella di rifiutare qualsiasi tipo di collaborazione o partnership retribuita, proprio perché vuole sentirsi libera da condizionamenti e poter dire la sua.
SOCIAL DA GEN Z
La frase ‘non ti serve’, in inglese ‘you don’t need this’, diventa quasi un mantra, ripetuta in questi video, che spingono all’opposto di ciò che l’advertising sui social ha sempre fatto: a non acquistare. O meglio, ad acquistare solamente ciò che effettivamente può servire, anche togliendosi degli sfizi, ma finché le spese risultano sostenibili. La principale ragione che anima il deinfluencing sembra essere la lotta al consumismo per proteggere il pubblico da pubblicità ingannevoli e da acquisti sbagliati. Secondo GWI.com, una società di targeting del pubblico nel settore marketing, dal 2015 il numero di consumatori che cercano prodotti sui social media è aumentato del 43 per cento. Oggi TiktTok si può dire che stia diventando l’e-commerce più usato dalla Gen Z, che si fa guidare dai social per i propri acquisti. La deinfluencer canadese Michelle Skidelsky ha dichiarato a Forbes che il consumo eccessivo è molto presente su TikTok, rendendo “molto facile cadere nella tana del coniglio quando si acquistano cose che vedi online nella speranza di avere una vita migliore”. E in questo quadro il deinfluencing sta riscuotendo questo successo proprio perché gioca su una piattaforma che parla principalmente a questa generazione. “Penso che questo trend sia guidato dal desiderio della Gen Z di comprendere ed educare sé stessi e anche di contrastare il fatto che per così tanto tempo i social media non hanno rispecchiato la vita reale”, afferma Jay Richards, co-fondatore di Imagen Insights. Ne è sempre più consapevole la Gen Z, più accorta e informata sui meccanismi della manipolazione social. Un tempo infatti, c’erano i cosiddetti ‘consigli per gli acquisti’, spazi pubblicitari dedicati e debitamente segnalati in tv dove si proponevano prodotti di vario genere. Adesso ci sono gli adv di Instagram, annunci di sottoforma di storie o fotografie, dove un’influencer dà visibilità a un prodotto dietro un compenso. Per legge l’hashtag con l’indicazione di adv deve essere sempre segnalato, ma alle volte è indicato in fondo a una lunghissima caption o in carattere così piccolo da risultare illeggibile e da indurre in errore gli utenti più sprovveduti, contribuendo a distorcere la realtà. Questo rende labile il confine tra quello che sembra una recensione più o meno sincera su un prodotto e una pubblicità che, per sua natura, non è mai imparziale. “Più contenuti onesti e critici nei confronti dei marchi non sono necessariamente una cosa negativa – spiega a Bof James Nord, fondatore della società di influencer marketing Fohr -. Ma è una linea dura per gli influencer da percorrere perché non vogliono offendere i loro partner”. In genere, la percentuale di recensioni positive sui social media supera quella negativa per timore di perdere potenziali contratti, anche se i nuovi contenuti di deinfluencing si stanno dimostrando premianti in termini di interazione social e questo dovrebbe incoraggiare tutti a produrre contenuti più onesti.