Il regolamento europeo impone alle aziende di monitorare il ciclo di vita dei prodotti e tutelare i consumatori. Il made in Italy fa della sicurezza un vantaggio competitivo, iniziando a testare la blockchain.
“Tracciabilità nell’industria cosmetica: dalle esigenze della filiera all’applicabilità di soluzioni tecnologiche end-to-end”. È questo il titolo della tavola rotonda organizzata da OnBeauty By Cosmoprof Worldwide Bologna, in collaborazione con Pambianco, che lo scorso 10 settembre ha approfondito un tema cruciale per l’industria cosmetica, coinvolgendo aziende del settore ed esperti. La tracciabilità dei prodotti risponde a vincoli normativi, imponendo un sempre maggior controllo delle fasi del ciclo produttivo, dei rapporti con i fornitori e dei canali di vendita. Il Regolamento CE 1223/2009 stabilisce le prescrizioni che ogni prodotto cosmetico immesso sul mercato deve rispettare, al fine di garantire la tutela della salute e l’informazione dei consumatori, definendo restrizioni alle sostanze contenute e chiarendo i requisiti minimi per l’etichettatura dei prodotti. Tra gli scopi principali di tale regolamento, in vigore dal 2013, ci sono infatti la condivisione delle procedure di immissione dei cosmetici sul mercato comunitario, la definizione delle figure chiave e delle loro responsabilità, l’uniformità del set di informazioni riportate sui prodotti e sui rispettivi imballi e un sempre maggior livello di sicurezza dei cosmetici, con un sistema di sorveglianza anche nel post-vendita.
Garantire l’integrità e la trasparenza in ogni passaggio della catena produttiva e distributiva è oggi possibile grazie all’analisi dei dati, con risvolti positivi in termini di tutela della marca, tutela ambientale e tutela del consumatore. A molte delle problematiche e delle sfide che le aziende affrontano nel processo di implementazione del livello di tracciabilità dei loro prodotti viene in soccorso la tecnologia blockchain. L’Italia può giocare un ruolo fondamentale in relazione a questa tecnologia, anche a supporto della competitività delle filiere strategiche. Nel settore della bellezza, tuttavia, sembra trovare un’applicazione ancora limitata. “Il termine blockchain non individua solo un insieme di tecnologie – ha spiegato Rebecca Montanari, professoressa ordinaria di Sicurezza dell’Informazione di Dipartimento di Informatica, Scienza e Ingegneria dell’Università di Bologna -, ma un modello innovativo che permette un’interazione diversa tra cittadini, istituzioni e tra imprese. Il concetto, tra gli altri, di smart contract, ha permesso l’applicabilità della blockchain anche in settori diversi dalle criptovalute, come l’ambito delle filiere”. La blockchain è una particolare tecnologia di registro distribuito, in grado di registrare scambi e informazioni in modo sicuro e permanente. I dati sono resi immutabili grazie all’utilizzo di tecnologie di crittografia. “Si tratta di una tecnologia non ancora veramente sperimentata sul campo quando si considera il settore cosmetico, se non in applicazioni di nicchia. L’utilizzo della blockchain come infrastruttura tecnologica su cui costruire dei servizi per la filiera risulta, infatti, ancora poco presente”, ha concluso Montanari.
Attraverso la tracciabilità e la trasparenza, l’intera costellazione delle Pmi della beauty valley italiana può offrire garanzie della maggiore affidabilità delle produzioni made in Italy in ottica di traino per la ripresa. Lo conferma Ancorotti Cosmetics: “L’applicabilità della blockchain per la tracciabilità – ha precisato Graziano Fumarola, direttore operations di Ancorotti Cosmetics Spa – richiede un concerto di filiera, perchè le aziende contoterziste sono solo uno degli anelli della catena di approvvigionamento, che vede a monte produttori e distributori di materie prime, di packaging e di macchinari, e a valle i brand, i retailer e il consumatore finale. Nella tracciabilità vediamo un’opportunità: evidenziare eventuali inefficienze permette infatti di risolverle e questo ha portato a marginalità positive e a un potere di investimento maggiore, aumentando la competitività dell’azienda nel settore”.
A far luce sulle sfide a cui deve fare fronte un brand è Benedetta Suardi, technical director di Kiko, precisando come il Regolamento CE 1223/2009 metta al centro la responsabilità delle aziende e la tutela della sicurezza di chi acquista: “Un brand ha come missione l’onestà e la sicurezza verso il consumatore – ha spiegato la manager-. L’Italia, insieme a Francia e Stati Uniti, è uno dei Paesi più colpiti dalla contraffazione. Questo fenomeno è diventato ancora più insidioso con le vendite sul canale e-commerce e con l’esposizione dei brand sui canali social. Oggi non ci sono sistemi che impediscano, ad esempio, di aprire una pagina a nome di un marchio e vendere prodotti, fino al successivo intervento delle autorità. Fondamentale è anche la tutela ambientale, dove la tracciabilità consente di monitorare la provenienza geografica delle materie prime, la loro estrazione, con attenzione alla componente sociale”.
Può implementare la trasparenza della filiera anche l’identità digitale, concetto approfondito con Antares Vision Group, che segue l’intero processo di protezione dei prodotti lungo tutto il loro ciclo di vita, fornendo soluzioni di track & trace. “L’identità digitale – ha precisato Monica Coffano, business development manager dell’azienda – è un codice univoco che segue una singola unità di prodotto durante tutta la sua vita. Questo codice univoco può avere forme diverse: può essere un QR code, può essere invisible, può essere un RFID o un Nfc. L’aspetto fondamentale è che non esiste un’altra unità di prodotto con la stessa identità digitale. Quest’ultima è ‘alimentata’ dalle informazioni contenute nella blockchain, relative per esempio all’origine delle materie prime che sono state utilizzate per creare questo prodotto. Ma anche tramite i classici strumenti aziendali come Erp e MES”.