Pressing di Fenapro sul Governo per cambiare la ‘catalogazione’ delle profumerie all’interno dei decreti emanati fino ad ora. Nello specifico, sia il Dpcm di ieri, 22 marzo, sia il precedente dell”11 marzo, consentono al commercio al dettaglio di articoli di profumeria, prodotti per toeletta e per l’igiene personale di continuare ad operare. Le profumerie, in sostanza, possono stare aperte.
Questa decisione però ha creato profondi malumori nella categoria, e il presidente dell’associazione dei profumieri Michelangelo Liuni ha scritto a Confcommercio, per arrivare poi alla segreteria della Presidenza del Consiglio, per chiedere che le profumerie vengano inserite nelle attività alle quali è imposto il divieto di operare. Solo con l’obbligo di chiusura, le profumerie, che ovviamente in questo periodo non hanno più traffico né vendite e invece hanno costi fissi e di personale da pagare, potrebbero godere della cassa integrazione e degli aiuti all’impresa previsti dal Governo. “La decisione di lasciare aperte le profumerie è una sorta di insidia legislativa – spiega Luini – che espone il nostro canale al rischio di asfissia. Non siamo un’attività che vende beni di prima necessità, tanto meno necessaria ad alimentare una filiera produttiva”. Liuni chiede quindi che anche le profumerie siano ammesse ai benefici del credito d’imposta per botteghe e negozi, e che ci sia un riallineamento sui versamenti fiscali e contributivi, con una dilazione dei pagamenti per tutti al 31 maggio 2020.
In questa situazione di malcontento, si è creata una linea di confine tra la Lombardia e il resto della Penisola, perché la Regione del nord Italia ha consentito alla chiusura delle profumerie. Il pressing comunque continua, e nei prossimi giorni si vedrà se ci sarà un’evoluzione per il resto del Paese.