Il settore beauty sembra avere integrato la formula bio (termine a indicare il green nelle molteplici forme) in via trasversale, ossia tra diverse tipologie di prodotto, e in via verticale, cioè lungo l’intera catena di produzione e distribuzione. E tutto questo con una velocità sorprendente. Ancora due anni fa, la cosmesi naturale era considerata, certo, un ambito con grandi potenzialità, ma pur sempre un ‘fenomeno’ o un segmento di ‘nicchia’. Oggi è qualcosa di diverso.
Cosa sia oggi il beauty-bio lo si può comprendere attraverso le operazioni dei big, in tutti i segmenti del settore: da l’Oréal a Unilever, da Chanel a Henkel, le mosse sullo scacchiere parlano di acquisizioni di laboratori cruelty free, di startup vegane, di brevetti eco-friendly.
Ma si comprende anche meglio cosa sia il beauty-bio se si sposta l’attenzione sugli influencer, il motore del mercato odierno. Qui l’elenco non ha fine: Katie Holmes è co-proprietaria di un’azienda bio; Rihanna ha lanciato Fenty beauty, non testata sugli animali e con alcuni prodotti vegani; Jessica Alba ha dato vita a The Honest, azienda green ed eco-friendly; Drew Barrymore ha creato Flower, marchio di make-up cruelty free; Eva Mendes gestisce il brand Circa, dedicato a linee eco friendly e cruelty free; Salma Hayek ha lanciato Nuance, cosmetici formulati con ingredienti naturali ed esotici; Lady Gaga ha presentato Haus Beauty, linea di cosmetici vegana. Un esercito, rispetto a quando, dieci anni fa, Gwyneth Paltrow ha fondato il proprio marchio, Goop, attraverso il quale andava controcorrente imbracciando la bandiera green.
Quanto vale tutto questo? Secondo l’Osservatorio Beauty di L’Oréal Italia, l’offerta di prodotti biologici, naturali o d’ispirazione naturale oggi vale il 21% del mercato skincare italiano. E, in Borsa, tira un entusiasmo da ‘bolla’: Bio-On, i cui ricavi sono, di fatto, unicamente prospettici, era arrivata a capitalizzare un miliardo a fine luglio (prima di finire in una tempesta speculativa al ribasso) sulla base dell’euforia di future tonnellate di bioplastiche vendute all’industria cosmetica.
Insomma, ormai non si può più parlare di fenomeno beauty-bio. Anzi, sembra profilarsi un’evoluzione cui ha già imparato a guardare il food, e che deve essere da spunto anche ad altri ambiti del made in Italy, come la moda e il design. In ogni segmento di mercato, il fattore bio sembra consentire competitività. E, forse, anche margini migliori.