Lo studio Ermeneia su 100 aziende beauty in Italia evidenzia che le imprese cominciano ad abbandonare gli intermediari tradizionali. Cresce il ricorso all’e-commerce ma è ancora contenuto. Ed emergono anche ripensamenti sul web.
Poco più di un terzo delle aziende cosmetiche in Italia utilizzano gli intermediari tradizionali del settore, ovvero grossisti e distributori, ma il 14,3% sta attualmente disinvestendo su di essi. In questo processo di disintermediazione delle vendite, cresce anche il numero delle aziende che fanno e-commerce, ma, a sorpresa, anche di quelle che non vogliono più farlo. Lo rivela lo studio condotto da Ermeneia per Cosmetica Italia su 100 aziende della bellezza nella primavera 2019 e presentato a fine giugno a Milano nella cornice di Palazzo Clerici. La ricerca è stata illustrata da Nadio Delai, presidente di Ermeneia, che ha quantificato in un 39,3% le aziende che ancora si avvalgono di grossisti e distributori esterni, mentre la restante percentuale (circa il 60%) possiede monomarca oppure distribuisce direttamente nei negozi plurimarca o ha incorporato la distribuzione creando reti proprie per uno o più canali di vendita. “Tra le aziende che si avvalgono degli intermediari tradizionali – ha spiegato Delai – solo il 20% implementa l’e-commerce, mentre questa percentuale sale subito quando le aziende decidono di disinvestire. Tra le imprese che hanno canali di vendita diretti o reti proprie, il 30% investe nello shopping online”. La percentuale quindi delle aziende che credono nella sfida della digitalizzazione del business, per lo meno per quanto riguarda l’aspetto commerciale, è ancora ridotta. Infatti, sul totale campione, l’incidenza media dell’impiego dell’e-commerce risulta essere del 36,4 per cento. Tra coloro che predispongono le vendite su Internet, l’incidenza sul fatturato totale comincia a diventare rilevante: sotto il 5% si collocano i due terzi delle imprese (62,8%), mentre il 22,8% si colloca già su un gradino successivo di quota fatturato, compreso tra il 6% e il 10 per cento. L’11,4% delle aziende copre con l’online una quota tra l’11% e il 30%, mentre un gruppo più ristretto di imprese (2,9%) è andato già oltre il 70%, evidentemente scommettendo in via prioritaria sull’e-commerce come leva del business. A sorpresa, cresce anche il numero delle aziende che non vogliono fare e-retail: erano il 24,3% nel 2013 e sono il 32,7% nel 2019. Dato che può essere interpretato come una ‘delusione’ delle aziende che si sono lanciate per prime nel retail su web, e magari in modo un po’ troppo avventato.
CONSEGUENZE DELLA DISINTERMEDIAZIONE
L’approccio ‘diretto’ alle vendite, e in particolare l’uso dell’e-commerce, sta facendo emergere nuove consapevolezze tra gli imprenditori che incidono sul modello di business. Innanzi tutto, emerge in modo più forte che in passato la centralità delle relazioni con il cliente e, proprio come conseguenza di questa necessità, le aziende ormai virano totalmente verso i social network. Questi ultimi sono un ambiente-chiave da presidiare in assoluto per il 72,9% degli intervistati, a cui si aggiunge un 62,9% che ritiene centrale gestire i feedback dei clienti stessi. Un altro cambiamento ‘culturale’ riguarda la comunicazione, la quale, secondo il 79,3% degli imprenditori, va ripensata con modalità appropriate, utilizzando anche la figura dell’influencer. Addirittura l’86,5% delle aziende sente l’esigenza di ‘diventare parte della conversazione’ che avviene su internet e sui social e non sulle piattaforme proprietarie. Cioè l’idea è quella di andare là dove si trovano i consumatori. Infine, aumenta la consapevolezza dell’importanza della digitalizzazione di tutti i processi dell’impresa. Ciò nonostante, il processo di digitalizzazione si presenta ancora ‘a pezzi’, cioè per comparti separati, e si evidenzia come tale processo abbia bisogno di una interconnessione sia dentro l’azienda (tra impianti, persone e informazioni) sia all’esterno dell’azienda. “La digitalizzazione dell’impresa – ha concluso Delai – implica la promozione di un processo lungo e complesso di trasformazione organizzativa e di evoluzione delle competenze degli addetti. Bisogna quindi adottare standard tecnici e standard di competenze degli operatori, ma soprattutto è importante che si arrivi a una vera e propria ‘armonia’ tra ambiti aziendali diversi”.