Le multinazionali dominano i canali fisici in italia, ma non ancora l’online. il web quindi è il terreno dove le piccole aziende tricolori possono giocare le proprie carte. L’e-commerce, inoltre, permette alle Pmi di vincere la sfida della globalizzazione e di andare all’estero. Per strutturarsi in modo professionale, però, è necessario dotarsi di capitali. Il private equity è una delle opzioni per accelerare il percorso di crescita.
L’e-commerce potrebbe diventare la chiave del successo per le piccole e medie aziende italiane della cosmetica. Infatti, queste realtà faticano a competere con le multinazionali per quanto riguarda le vendite tradizionali sui canali fisici, mentre per le vendite online ci sono più spazi di manovra, perché, al momento attuale, il web non è ancora presidiato in modo consistente dai grandi gruppi. Su Internet, quindi, c’è spazio per le Pmi, e soprattutto c’è la possibilità per queste aziende, piccole ma flessibili e veloci, di affermarsi con idee innovative e differenziarsi dai competitor. Questo tema è stato il ‘fil rouge’ del terzo Beauty Summit organizzato da Pambianco Strategie di Impresa e Condé Nast Italia, in collaborazione con Pwc, dal titolo ‘L’industria italiana della cosmetica e le sfide dei nuovi canali’. L’argomento Pmi infatti è stato ‘toccato’ da tutti i relatori che si sono alternati sul palco di Palazzo Mezzanotte a Milano, lo scorso 3 aprile 2019. A cominciare dall’analisi presentata da David Pambianco, CEO di Pambianco Strategie di Impresa, che ha illustrato lo scenario imprenditoriale italiano, formato da aziende cosmetiche di dimensioni ridotte e poco internazionali, le cui prime 12 hanno una media di fatturato di 207 milioni di euro, e si posizionano quindi nella fascia dei player di medie dimensioni, a cui segue una pletora di realtà ancora più piccole. “Le imprese della bellezza con brand propri – ha sottolineato Pambianco – risultano ancora molto legate ai canali tradizionali e poco propense ad investire sull’e-commerce. In un mercato internazionale dove compaiono sempre più spesso aziende native digitali, l’Italia è pressoché assente nella nascita di startup o di progetti sul web”. Il mercato tricolore vede poi la presenza di molti terzisti, che hanno una media di fatturato superiore a quella delle aziende branded, ovvero di 230 milioni di euro. Ma il dato che salta all’occhio, sempre nell’analisi Pambianco, è che le filiali delle multinazionali dominano il mercato italiano, in quanto i principali gruppi esteri fatturano nel Belpaese mediamente 316 milioni di euro. In altre parole, le filiali fatturano in media nella Penisola più di quanto le aziende italiane fanno globalmente, cioè in Italia e all’estero. C’è un gap di dimensioni tra le imprese italiane e quelle straniere che operano nel nostro territorio, e di conseguenza il gap si riflette anche sulle economie di scala. Bisogna fare però una distinzione, che è importante perché potrebbe determinare una svolta per il futuro delle aziende tricolori, e cioè che la predominanza dei marchi delle filiali in Italia riguarda solo i canali tradizionali, come profumerie, farmacie e grande distribuzione. I ‘pesi’ invece cambiano quando ci si sposta sul web. La discrepanza l’ha fatta notare Erika Andreetta, Partner PwC, che ha raccontato alla platea del convegno che i primi 20 marchi al mondo di cosmetica fanno il 90% delle vendite offline globali, ma rappresentano solo il 14% dello shopping online. Su Internet cioè si trovano realtà e modelli che semplicemente non esistono offline. Questo significa che le Pmi italiane hanno molte opportunità di crescere sul web.
AGGREDIRE L’ESTERO
Il punto cruciale delle Pmi è che non riescono ad avere la forza e la struttura per competere a livello globale. Creare una rete retail oppure una distribuzione wholesale all’estero comporta investimenti elevati, nonché una rete di conoscenze adeguate sul territorio in cui si vuole operare. Viceversa, l’online arriva in aiuto di chi non ha la forza e le skill per internazionalizzarsi sui canali fisici. La Cina, ad esempio, è uno dei mercati più appetibili per le aziende della cosmesi italiane, perché conta una popolazione di 1,4 miliardi di persone, ma i tempi per la registrazione dei prodotti sono molto lunghi e per di più costosi. A questo si può ovviare con Tmall Global, come ha spiegato Carolina Solari, business development manager Beauty & personal care Alibaba Group che controlla il marketplace b2c. Si tratta di una piattaforma cross border che vende brand stranieri che non si trovano sul mercato fisico e che permette a questi marchi di avere una tassazione ridotta rispetto a quella dell’importazione normale. Tmall Global si rivolge a 666 milioni di consumatori cinesi attivi (che fanno almeno una transazione al giorno) e il 90% delle transazioni sono fatte via mobile. “Dimenticatevi il pc – ha ribadito Solari sul palco di Palazzo Mezzanotte – perché nel Paese dell’ex Celeste Impero si compra tutto con lo smartphone. E i consumatori sono giovani (sotto i 30 anni) e altospendenti, perché hanno un potere d’acquisto superiore a quello dei giovani italiani”. Arrivando al comparto cosmetico, questo settore vale 64 miliardi di euro nel Paese del Dragone, e nell’ultimo anno ha visto una crescita esponenziale delle vendite online: trucco (+46%), skincare (+40%) e personal care (+37%). “C’è una forte richiesta di bellezza – ha continuato Solari – e i cinesi sono molto propensi ad acquistare prodotti stranieri, tra cui creme antiaging, anche per gli under 30, nonché articoli di haircare, a causa di inquinamento e stress”. Un esempio di azienda italiana che ha avuto successo in Cina è Kiko che, durante l’evento dello scorso luglio organizzato a Milano da Alibaba per promuovere l’ingresso di alcuni marchi beauty italiani su Tmall Global, ha venduto più di 20mila pezzi nelle prime due ore di promozione.
IN CERCA DI INVESTIMENTI
Una strategia online ben strutturata richiede risorse e, come ha sottolineato Luca Peyrano, CEO di Elite – London Stock Exchange Group, una solida dotazione di capitali è quello che può fare la differenza tra essere un’azienda leader e rimanere follower. “Tra l’altro – ha aggiunto – anche i capitali sono diventati particolarmente competitivi, e quindi le aziende devono essere attraenti per gli investitori. Per questo è nato Elite, che è un progetto di Borsa Italiana che fa da ‘ponte’ tra società ambiziose, di qualità e in crescita, e il mercato dei capitali. Elite conta a livello internazionale 1.000 imprese, di cui circa 650 in Italia, con un aggregato di ricavi che si avvicina a 90 miliardi di euro”. Anche il private equity è una delle opzioni per accelerare il percorso di crescita delle piccole e medie aziende. Ne ha parlato nel corso del Summit Walter Ricciotti, managing partner di Made in Italy Fund, fondo promosso da Q Group e Pambianco, che investe nelle Pmi dei settori lifestyle italiani: “Nel 2018 ci sono stati 350 investimenti di private equity nelle aziende italiane, di cui il 90% in realtà medio-piccole, cioè sotto 100 milioni di euro l’anno di fatturato, e hanno generato per gli azionisti rendimenti superiori al 15-20% annui”. Perciò, è ormai desueto chiamare il private equity come una forma di ‘finanza alternativa’, perché è ormai diventato uno strumento tradizionale di crescita. “Al private equity – ha aggiunto Ricciotti – piace il settore beauty, perché ha una redditività mediamente superiore rispetto ad altri settori, ed essendo un mercato frammentato, è interessante per chi investe in un’ottica di medio periodo, cioè di 5 anni, perché ci sono possibilità di aggregazione e di consolidamento”. Oggi sono 20 le aziende beauty italiane che hanno nel proprio capitale un fondo, le quali (escludendo 2 operazioni di grandi dimensioni e 3 startup) hanno un fatturato medio di 43 milioni di euro e un ebitda medio di 6 milioni di euro (14%). La forte redditività italiana è stata sottolineata anche da Renato Ancorotti, presidente di Cosmetica Italia: “L’ebit margin della produzione cosmetica è dell’8,8%, secondo solo a quello della farmaceutica e prima dell’ebit margin di settori come occhialeria, pelletteria, vino e abbigliamento”.