Come sapere se un prodotto è veramente green? La parola ‘naturale’ sull’etichetta non basta. La confusione è alimentata dalla molteplicità di enti certificatori. Obiettivo: orientarsi tra i ‘bollini blu’ della cosmesi.
Bio o non bio, ma qual è il problema? Una delle principali difficoltà dei consumatori, se non la principale in assoluto, è stata da sempre quella di districarsi tra le certificazioni relative alla cosmesi eco-bio presenti sul mercato. Questa confusione emerge evidente nei risultati del sondaggio “Protagonisti del biologico in Italia”, redatto dal Consorzio del Biologico/Ccpb, dove il 43% dei partecipanti si è dichiarato informato sulle normative del biologico, ma di questi solo l’1% ha poi risposto di averne una conoscenza approfondita. Il 28% degli interpellati ha una conoscenza sufficiente e ben il 71% scarsa. In questa confusione, per risolvere il problema della frammentazione dei disciplinari, gli stessi enti certificatori hanno lavorato lungamente per la presentazione di uno standard europeo che fosse univoco e definitivo. I risultati di questo impegno si sono concretizzati in due certificazioni europee: Cosmos e NaTrue. “Anche nel settore della cosmesi, packaging, colori, parole chiave fuorvianti come ‘bio’ e persino l’ordine con cui vengono nominati gli ingredienti, contribuisce a ingannare il consumatore, approfittando del fatto che la sua domanda di ‘naturalità’ è sempre più forte”, ha spiegato Francesca Morgante manager di NaTrue. L’unico modo per tutelarsi dal cosiddetto greenwashing (letterlamente una patina di credibilità ambientale) è proprio una chiara certificazione. “Ma in questo settore – ha precisato Morgante – non esiste ancora una norma condivisa e riconosciuta da tutti a livello internazionale”.
CERTIFICAZIONI MADE IN EUROPE
Il Cosmos (Cosmetics Organic Standard) è lo standard unico europeo per le certificazioni dei prodotti cosmetici naturali e raggruppa la francese Ecocert, l’italiana Icea, la britannica Soil Association e la belga Ecogarantie. E’ stato fatto un grande passo avanti con l’entrata in vigore di questo disciplinare che definisce e regolamenta il cosmetico biologico, condiviso e approvato da tutti i principali enti certificatori europei. I principi base di Cosmos, che definiscono un cosmetico ‘naturale’, sono rigorosi e prevedono due livelli distinti di certificazione: una per il prodotto biologico, una per il prodotto naturale. “L’intero assortimento dei nostri prodotti – ha dichiarato a Pambianco Beauty Klara Ahler CEO di Lavera – è certificato in accordo ai rigorosi disciplinari di NaTrue. Insieme ad altri pionieri tedeschi del settore, Lavera ha fondato questa associazione con l’obiettivo di fornire e tutelare gli standard di una cosmetica naturale e biologica. Oltre alla certificazione NaTrue, i prodotti vegan Lavera portano il sigillo del ‘vegan flower’ e sono registrati presso la Vegan Society di Londra dal 2004”. NaTrue è il secondo sistema di certificazione creato dalla International Natural and Organic Cosmetics Association per regolamentare e proteggere i prodotti naturali per la cura della pelle. La certificazione NaTrue prevede tre fasi. Per ottenere la promozione alla prima fase si deve dimostrare che tutti gli ingredienti sono di origine naturale e che vengono lavorati solo con metodi accurati e sostenibili. Nelle due fasi successive viene valutata la proporzione dei materiali provenienti da agricoltura biologica certificata, dove una valutazione più alta garantisce un contenuto biologico più elevato. “Uno dei problemi del settore – ha spiegato a Pambianco Beauty Stefano Riva amministratore delegato Weleda Italia – è proprio quello di individuare il falso naturale. Realizzare un prodotto naturale ha certi costi legati già alle materie prime, ma in giro si vedono prezzi incongruenti. Weleda, in assenza di criteri stabiliti per legge, è stata uno dei promotori di NaTrue. A causa del vuoto legislativo dell’Unione Europea in questa materia, i maggiori gruppi europei hanno dato vita appunto a questo marchio con l’intento di smuovere il sistema decisionale-politico, ben consapevoli che il percorso da compiere è però ancora lungo”. Tra gli altri enti in Germania c’è Bdih mentre in Belgio opera la Bioforum. In Italia i prodotti di bellezza possono essere certificati da Icea (Istituto per la Certificazione Etica e Ambientale), oppure certificati dal Ccbp(Consorzio per il Controllo dei Prodotti Biologici), riconosciuto dal Ministero dell’Agricoltura (il marchio è riportato in basso, con la scritta ‘controllo biologico’). Ci sono alcuni prodotti che sono marchiati anche Aiab, l’associazione dell’agricoltura biologica garantisce l’assenza di Ogm, applica notevoli restrizioni per l’uso di sostanze chimiche e richiede l’eco-compatibilità del confezionamento.
OPERAZIONE GREEN CARD
In America, pur nella deregolamentazione legale, l’ente di riferimento più influente è la United States Department of Agriculture (Usda). Stando quanto riporta Quality Assurance International (Qai), sempre più consumatori in America sono alla ricerca di cosmetici naturali, biologici o contenenti comunque almeno una percentuale di ingredienti biologici. Secondo la società di ricerche di mercato americano Spins, i cosmetici e i prodotti per la cura personale contenenti almeno il 70% di ingredienti biologici sono cresciuti in fatturato di oltre il 40% nell’ultimo anno. Purtroppo, come in Europa, anche negli Stati Uniti uno scoglio è costituito dalla mancanza di una specifica definizione giuridica del termine ‘biologico’ per i prodotti cosmetici. Ma diversi produttori hanno trovato un modo intelligente per aggirare il problema: con i loro prodotti cosmetici, molte imprese adempiono alle severe disposizioni previste per gli alimenti bio, adottando sulle proprie confezioni il logo Usda. Oltre a questa strada, in molti casi i produttori hanno scelto di ricorrere a disciplinari privati quali lo standard Nsf/Ansi 305, con la dicitura “contiene biologico” (prodotti contenenti almeno il 70% certificato di componenti bio), o i loghi Bdih, Ecocert e NaTrue per i prodotti importati negli Stati Uniti.
PET FRIENDLY
La filosofia green, e in particolare quella vegana, può arrivare, inoltre, a richiedere che un prodotto sia anche cruelty free. La Peta (People for the Ethical Treatment) è forse la più famosa organizzazione no-profit a sostegno dei diritti degli animali. Si è impegnata con numerose aziende affinché queste firmassero un attestato o una dichiarazione di affidabilità a testimonianza che né loro né i loro fornitori conducono o commissionano test di ingredienti, formulazioni o prodotti finiti su animali. A certificarlo è anche il coniglietto di Lav (Lega Anti Vivisezione), portavoce del divieto di vendita dal 2004 di prodotti cosmetici testati su animali. Il simbolo viene concesso in Italia dalla lega (unico soggetto abilitato all’utilizzo del marchio) ai prodotti conformi allo Standard Internazionale ‘No animal testing’, messo a punto dalle maggiori organizzazioni animaliste mondiali e dalla Coalizione Europea contro la Vivisezione (Eceae). Attualmente, Lav approva le aziende solo a seguito dei test che vengono svolti da Icea. Il prodotto che porta questo simbolo è quindi cruelty free e conforme alla legge che dall’11 marzo 2013 vieta non solo la sperimentazione su animali, ma anche l’importazione da Paesi Extra Ue di qualsiasi materia prima che non garantisca l’assenza di esperimenti.
di Chiara Dainese