Lo shopping negli scali turistici è un canale ad alta visibilità e immagine, ma le spese diventano proibitive e potrebbero rappresentare lo spartiacque tra grandi e piccole aziende. queste ultime, infatti, rischiano di essere in perdita.
Un tempo le stazioni e gli aeroporti erano i luoghi-simbolo degli incontri e degli addii, oggi invece sono a tutti gli effetti ambienti di shopping. Le aree di attesa sono diventate giganteschi department store, con spazi multibrand, monomarca, corner e shop-in-shop, e le attività retail hanno un peso di crescente rilevanza sui ricavi degli aeroporti: per fare un esempio, le attività commerciali non-aviation portano a Sea (società che gestisce gli aeroporti di Linate e Malpensa a Milano) oltre 200 milioni di euro l’anno di ricavi, cifra che comprende anche gli introiti dalla pubblicità e non solo dal retail, e che rappresenta il 32% dei ricavi complessivi di Sea nel 2014. Allo stesso modo, questi spazi negli ambienti di transito diventano un canale sempre più gettonato dalle aziende del beauty, a volte addirittura più importante rispetto alle tradizionali profumerie di città, tanto che alcuni prodotti (soprattutto make-up e fragranze) vengono lanciati in anteprima negli aeroporti e arrivano solo in un secondo momento, anche dopo mesi, nei centri metropolitani. I viaggiatori, del resto, hanno diversi vantaggi ad acquistare nei luoghi di transito, sia perché hanno molto tempo da passare tra uno scalo e l’altro, sia perché godono dell’esenzione dell’Iva. In realtà, gli acquisti in regime duty free possono essere effettuati esclusivamente dai passeggeri che si recano fuori dalla Comunità Europea. Però accade che spesso le aziende propongano gli stessi sconti in tutte le aree di shopping degli aeroporti.
IL BEAUTY ‘VIAGGIA’ PIÙ DEL MERCATO
La cosmetica nel canale travel retail evidenzia percentuali di crescita che vanno ben oltre quella di mercato che è previsto progredire in Italia solo dello 0,3% nel 2015. Invece, nei primi quattro mesi di quest’anno, le vendite beauty negli aeroporti italiani sono aumentate del 7,8 per cento. Lo dichiara Fulvio Fassone, presidente dell’Associazione travel retail Italia (Atri), aggiungendo che il fatturato realizzato dalla bellezza negli scali italiani si stima tra 170 e 180 milioni di euro nel 2014, previsto in crescita di altri 10 milioni a fine 2015. Differenziando le percentuali sui tre assi del settore, i profumi realizzano circa il 50% del fatturato, lo skincare il 35% e il make-up il 15 per cento. Per quanto riguarda il mondo, “le vendite della cosmetica nei luoghi di viaggio – ha sottolineato Fassone – hanno raggiunto 18 miliardi di dollari nel 2014, ma si pensa che quest’anno sfioreranno i 19,5 miliardi, mentre in Europa il beauty nel travel retail registra 5,6 miliardi di dollari, con una previsione di 6 miliardi per il 2015”. Tornando all’Italia, il 70% dello shopping ‘in viaggio’ è generato dai tre aeroporti intercontinentali (Milano, Roma, Venezia), dove le vendite hanno risentito negli ultimi mesi del benefico effetto dell’euro debole. L’incremento è dettato anche dalla crescita dei flussi dei passeggeri: 150 milioni di persone sono transitate negli scali italiani nel 2014, segnando un +4,5% sull’anno precedente. Nello specifico, il traffico domestico è aumentato del 2,5%, mentre quello internazionale del 6 per cento. A livello di scali internazionali, il numero dei viaggiatori intercontinentali ha superato il miliardo con una crescita annua attorno al 5%, cui si aggiungono circa 7 miliardi di viaggiatori domestici (spostamenti interni ai Paesi).
UNA AUDIENCE INESTIMABILE..
Facendo un confronto tra le profumerie nelle città e i duty free shop negli aeroporti, in questi ultimi la resa per metro lineare risulta più alta rispetto ai tradizionali punti vendita cittadini. Lo conferma Ernesto Marro, deputy COO Dufry Group Business Unit Italy, società che gestisce gli spazi commerciali in concessione dagli aeroporti (ai quali paga una royalty). E aggiunge che il valore del travel retail è conseguenza dell’altissimo numero di visitatori: sempre nello scalo di Malpensa, ad esempio, tra gennaio e giugno 2015 sono transitati quasi 9 milioni di passeggeri, e le vendite seguono di conseguenza. Un traffico che nessuna profumeria in città potrà mai ottenere. E così accade che per alcune aziende, come Bulgari, il travel retail è addirittura il canale prioritario e pesa il 22% sul fatturato. “Noi abbiamo una crescita media in questi spazi – racconta Valeria Manini, vice president della divisione profumi della maison – del 4% a livello internazionale, ed è una crescita contenuta per il semplice motivo che siamo già molto forti in questo canale”. La proiezione del business nel travel retail, da qui a tre anni, è invece esponenziale per Shiseido, che nel 2015 sviluppa in questo canale 500 milioni di euro e prevede di arrivare a un miliardo di euro entro il 2018. “Negli aeroporti – sottolinea Alberto Noè, presidente di Shiseido Italia – transita un consumatore molto evoluto, con un atteggiamento moderno nei confronti del consumo, nel senso che non cerca solo il prodotto ma il lifestyle che lo circonda”. Per dare un esempio di ciò che accade negli scali italiani, Dufry, che è tra i leader del travel retail con il 24% di quota di mercato nel mondo, ha realizzato a luglio di quest’anno nella Penisola un incremento delle vendite beauty del 25 per cento. E quali sono i brand più venduti nel travel retail? Per Dufry in Italia il ranking da ottobre 2014 ad agosto 2015 vede in prima posizione Chanel, per quanto riguarda le fragranze, mentre per lo skincare conquista il podio Estée Lauder, e nel make-up vince Dior. Tra i marchi italiani (che seguono però a una certa distanza nel ranking), il primo per le fragranze è Versace, per lo skincare è Collistar, e per il make-up Pupa.
…MA COSTI PROIBITIVI
Il travel retail si connota dunque come un mercato molto competitivo, che ha un numero elevato di consumatori, ma anche costi molti alti per le aziende. Perciò, occorre valutare con attenzione l’opportunità di esserci. Non a caso, Beiersdorf ha sospeso le attività di travel retail in Europa per il suo brand Nivea. La multinazionale tedesca ritiene poco profittevole questo canale nel Vecchio Continente e ha riallocato gli investimenti dagli scali europei verso quelli del Medio Oriente, dell’India e del Nord Africa. Paolo Bevegni, direttore international Collistar, sottolinea: “La spesa che dobbiamo sopportare nelle gallerie commerciali degli aeroporti è molto più alta rispetto a quella delle profumerie in città, perché alcuni gestori richiedono un fee, e a questo si aggiunge il costo delle animatrici e delle vendeuse. Di conseguenza la marginalità è più bassa”. Ciò detto, il travel retail sta funzionando bene per Collistar, azienda che è entrata da poco in questo canale dove già genera tra il 3% e il 4% del fatturato, ovvero circa 2 milioni di euro sui 90 milioni nel 2014: “Nel giro di 5 anni – aggiunge Bevegni – vogliamo portare questa percentuale al 10% dei ricavi”. Collistar è presente non solo negli aeroporti, ma anche sulle navi da crociera, dove i cosmetici vengono venduti sia negli spazi duty free sia nelle spa. “È un canale promettente – spiega il manager – perché più di 3.000 persone sono ‘prigioniere’ per una settimana a bordo di una nave e quindi sono tante le occasioni di shopping. Il 20% del fatturato travel retail lo generiamo sulle navi”. Tornando al fattore costi, la spesa elevata che l’azienda deve sostenere per essere presente negli spazi commerciali dei luoghi di viaggio finisce con l’essere uno spartiacque, tra chi ha le dimensioni (e il capitale) per farlo e chi no. “Sono costi proibitivi – osserva Marco Vidal, direttore commerciale di Mavive – per cui la presenza negli scali aeroportuali è più che altro un investimento d’immagine, perché per un’azienda medio-piccola il business potrebbe risultare in perdita. Il rischio cioè è quello di non avere una profittabilità interessante”. I costi dell’azienda spesso crescono ulteriormente a causa delle procedure burocratiche richieste nella realizzazione dei corner, come racconta Francesco Mattavelli, presidente di Studio Fm, società che realizza allestimenti in store: “La prassi di ingresso nelle aeree aeroportuali – spiega Mattavelli – prevede la compilazione di moduli, la certificazione delle persone, l’omologazione dei mezzi, e a questo si aggiunge la difficoltà di accesso alle aree commerciali con mezzi voluminosi, nonché il lavoro in notturna. Questo per dire che solo un’azienda ben strutturata può realizzare un allestimento nel travel retail”. Invece, come già accennato da Bevegni di Collistar, l’offerta commerciale sulle navi da crociera può diventare un business interessante e, almeno per ora, meno oneroso. Mavive, che è presente con il profumo di nicchia The Merchant of Venice in alcuni aeroporti e anche sulle navi, sottolinea la potenzialità di quest’ultimo canale: “Il ‘commercio galleggiante’ è stato per noi una grande scoperta – sottolinea Vidal – e ci ha fatto fare un balzo in avanti in termini di risultati. Il motivo è che non c’è molta concorrenza nell’offerta di profumi sulle navi e negli ultimi anni sono aumentati molto i passeggeri delle crociere”.
di Vanna Assumma