In Italia le principali aziende cosmetiche con monomarca hanno aperto uno shopping online di proprietà. Viceversa, chi non opera con retail diretto stenta a lanciare le vendite sul web perché teme la conflittualità con i canali fisici.
Chi ha i monomarca investe sull’e-commerce. E’ questo l’esito della ricerca condotta da Pambianco Beauty tra le principali aziende del settore in Italia che dispongono di una catena retail diretta e, appunto, anche di uno spazio per lo shopping online. E’ un’associazione (monomarca ed e-commerce) interessante in un panorama italiano in cui poche aziende cosmetiche si sono lanciate sul web con un negozio di proprietà. Il motivo per cui le imprese della bellezza non investono sulle vendite online è legato al timore di entrare in competizione con i canali fisici. Questi ultimi costituiscono una forte massa critica, in particolare le 6.500 profumerie indipendenti, di cui 3.000 selettive, che vivono il canale online come un competitor. Viceversa, le aziende che sviluppano il business retail attraverso negozi monomarca non hanno problemi di conflittualità con i punti vendita esterni, che, appunto, sono di proprietà. Tra le 16 principali aziende della bellezza con retail diretto citate nella tab. 1, solamente tre sono sprovviste di e-commerce. Il vero grande assente è L’Erbolario, mentre Perlier Kelemata ha in progetto il lancio dello shopping su internet a breve, e Yves Rocher ha un sito che riproduce il format della vendita, con tanto di prezzi e sconti, anche se l’acquisto viene finalizzato a domicilio attraverso una ‘consigliera di bellezza’, oppure nel negozio del brand. Per capire quanto possa diventare ‘fruttuoso’ lo shopping online, Kiehl’s nel giro di quattro anni è arrivato a fatturare quanto il negozio monomarca di via Dante a Milano. Il brand fa capo a L’Oréal Luxe, che conta altri marchi beauty con e-commerce. Roberto Serafini, direttore generale L’Oréal Luxe Italia e AD Helena Rubinstein Italia, specifica: “Il 50% della nostra crescita negli ultimi due anni è venuta proprio dall’e-commerce, anche se quest’ultimo rappresenta solo il 2% del sell out dei nostri marchi”.
Channel conflict, falso problema
Per quanto riguarda le aziende che non dispongono di una rete retail diretta, il freno maggiore allo sviluppo dell’e-commerce, come già detto, è la competizione con i canali fisici. Ma in realtà è un falso problema, come sottolinea Margherita De Angeli, direttore operativo di Terme e Grandi Alberghi Sirmione: “Ormai il consumatore è multicanale. Passa dalla profumeria ai siti online che offrono coupon, dove anche i top brand fanno operazioni di discount”. In definitiva, secondo De Angeli, l’e-commerce è un arricchimento, non un impoverimento, in quanto offre un servizio in più ai consumatori. Terme di Sirmione ha appena lanciato uno spazio vendite sul proprio sito, dedicato esclusivamente alla linea di cosmetici Aquaria Thermal Cosmetics, i cui ricavi attualmente coprono solo il 3% del fatturato (28,5 milioni di euro nel 2014), ma la prospettiva è di crescere a due cifre. In ogni caso, per scongiurare una possibile ‘guerra’ tra online e offline basterebbe un’oculata politica di prezzi. Se le aziende applicassero il full price nel sito di proprietà, i consumatori potrebbero addirittura essere attratti da sconti o trattative private con il negoziante offline. Dipende dalla struttura distributiva dell’azienda: se la rete dei negozi funziona bene, l’impresa potrebbe utilizzare il proprio ecommerce come una vetrina, per creare store traffic e spingere le persone nel punto vendita fisico; se invece la rete offline non fosse efficace, sarebbe vantaggioso per l’azienda diventare aggressiva sulle vendite digitali, abbassando i prezzi o creando promozioni e concorsi . L’e-commerce di Clinique, ad esempio, applica il full price ai cosmetici: “Non facciamo campagne prezzo – racconta Marco Taricco, online director di Estée Lauder Companies Italia – perché preferiamo valorizzare la consumer experience, offrire anticipazioni sui lanci, fare azioni di crm. Non ha senso poi parlare di competizione in quanto la quota delle vendite online è solo l’1% del fatturato del brand”. Un’altra soluzione per ‘smussare’ la conflittualità con i canali fisici sono le partnership con i siti online delle profumerie. Clinique ad esempio ha realizzato un accordo con la catena Douglas per effettuare in modo sinergico campagne digitali.
Spingere sulla comunicazione
Non mancano problemi di ordine economico che ostano alla realizzazione di un e-commerce di proprietà. Si tratta infatti di affrontare non solo i costi ‘nudi’ per la costruzione della piattaforma online e l’integrazione con il magazzino, ma anche le spese per la comunicazione volta a portare il consumatore verso lo shopping sul web. E’ anche vero, come sottolinea Benedetto Lavino, AD di Bottega Verde, che oggi costa meno il lancio di un e-store rispetto a 15 anni fa: “I costi infrastrutturali per creare il sito – spiega – sono diminuiti, ma viceversa sono aumentati quelli in marketing e in comunicazione”. Citando un report di Casaleggio Associati condotto su tutti i settori merceologici, non solo sulla cosmesi, Lavino osserva che il costo in marketing per l’acquisizione di un nuovo consumatore è pari a 25 euro per cliente (considerando il budget per l’advertising online, per le attività Seo, ma anche per la pubblicità su stampa, tv e radio). I costi di acquisizione del target sono praticamente raddoppiati rispetto a due lustri fa. L’investimento pubblicitario di Bottega Verde (che è uno dei principali player dell’e-commerce beauty in Italia, insieme a Kiko), con lo scopo di veicolare le persone sull’e-commerce, è circa l’8% del budget in comunicazione. “Non è tanto – precisa Lavino – perché noi abbiamo un heritage che ci aiuta. Siamo nati come azienda di vendita per corrispondenza, di conseguenza, quando siamo passati all’e-commerce, disponevamo già di una mailing di clienti ai quali abbiamo presentato l’e-store”. Oggi il valore dell’e-commerce per Bottega Verde è pari all’8% del fatturato (oltre108 milioni di euro nel 2014), quindi circa 9 milioni di euro.
Dall’e-commerce al commerce
La scarsa presenza di e-commerce aziendali dimostra come le imprese del settore non considerino lo shopping su internet con una visione ‘allargata’. Cioè lo store sul sito aziendale non ha solo il fine precipuo della vendita sul web, ma anche quello di driver per la vendita sul canale fisico. Sempre di più gli acquisti dei consumatori vengono decisi online e poi concretizzati offline, determinando l’importanza crescente dell’influenza digitale sulle vendite. Secondo i dati forniti da Netcomm, nel mondo 2 miliardi e 200 milioni di persone, prima di acquistare, si informano online.
E l’ecommerce dell’azienda è proprio il veicolo principale di informazione. Si capisce, dunque, quanto non sia importante che l’e-commerce funzioni come spazio online di vendita, bensì che porti alla vendita, anche se questa si completa nel negozio fisico. Le aziende devono capire che gli investimenti sul digitale sono utili, e se non aprono un negozio virtuale perdono vendite, comunque vengano finalizzate, sia online sia offline. Bisognerebbe passare cioè dal concetto di e-commerce a quello di ‘commerce’. Il valore dello spazio-vendita sul sito come strumento di influenza digitale è confermato da Benedetto Lavino: “Abbiamo notato che la propensione all’acquisto di chi visita il sito è superiore a quella di chi visita solo il punto vendita fisico”. E aggiunge Marco Taricco: “Ormai in Italia quasi il 50% di chi fa un acquisto di cosmetica ha avuto un’influenza digitale nel suo percorso di scelta”.
Meglio moltiplicare le occasioni
L’ecommerce, oltre ad avere il ruolo di driver verso gli acquisti offline, ha anche un valore di comunicazione, cioè incrementa la notorietà del brand, che a sua volta determina un aumento della propensione all’acquisto. Lo spiega Marco Taricco riferendosi all’e-commerce di Clinique, che è una sorta di ‘hub’, cioè non è destinato solo alla vendita dei cosmetici ma anche alla comunicazione di tutta l’ampia gamma di prodotti. Così, in definitiva non avere un negozio virtuale è come non comunicare al consumatore. Si può concludere che i due canali, l’online e l’offline, dovrebbero essere integrati perché ormai il percorso di acquisto non è più lineare: il consumatore inizia spesso a ricercare informazioni sul web, visita poi il negozio ‘brick and mortar’, dà un occhio ai social network per vedere cosa dicono gli amici, e finalizza l’acquisto, a seconda dell’occasione, nel negozio su strada o su internet. Insomma, quello che la gente richiede è la moltiplicazione delle occasioni per comprare.
di Vanna Assumma