A metà aprile il settore della cosmesi italiana ha segnato in rosso una data sul calendario. In quel giorno, infatti, è prevista la “Presentazione delle attività in Italia” di Walgreens Boots Alliance, ovvero di una delle maggiori catene internazionali operanti nel settore della salute e della bellezza. Di per sé, dunque, l’ingresso di un gruppo di tali dimensioni è già un momento di discontinuità in un mercato, come quello italiano, alle prese con una fase di profondo ripensamento della propria distribuzione, anche per effetto delle nuove regole sulle strutture proprietarie delle farmacie (l’ambito più prossimo a Boots). A colpire, nell’appuntamento fissato da Boots, è però anche la dimostrazione di forza con cui la catena americana si presenta. Ad accompagnare in conferenza i manager del gruppo, infatti, ci saranno il sindaco di Milano Giuseppe Sala e il numero uno di Confindustria Vincenzo Boccia. Un segnale della decisione con cui il gruppo sbarca sul mercato italiano. Ed è proprio questo segnale di forza e convinzione l’aspetto che merita di essere segnato in rosso. Perché dovrebbe alimentare l’idea, nel beauty made in Italy, che non sia rimandabile a lungo una scossa profonda al sistema. Scossa che, per essere contrastata, richiede uno sforzo altrettanto convincente. Emblematico quanto emerge dalle ricerche realizzate per il Beauty Summit di Pambianco in relazione alla situazione del sistema italiano della cosmetica nei confronti delle sfide dei nuovi canali. Sia sul fronte dell’e-commerce sia su quello dei social media, i marchi nazionali praticamente non esistono. Per questo ritardo ci sono ragioni strutturali, in primo luogo il fatto che la cosmesi italiana è costituita da una molteplicità di piccole e medie aziende manifatturiere, dunque poco visibili al consumatore finale. Ma, attenzione, alla radice c’è anche una ragione di mentalità, in particolare sullo sviluppo di marchi propri. È proprio su questo aspetto che sarà necessario lavorare. La dimensione frazionata è una condizione che difficilmente può reggere l’urto dei colossi alle porte. Viceversa, la ‘dimensione’ culturale dovrà essere ripensata. L’assenza di marchi propri e, di conseguenza, di brand riconoscibili, impedisce al beauty made in Italy di giocarsi quella che potrebbe essere la migliore carta da giocare: opporre alla strapotenza retail delle multinazionali una convinta presenza online. Se, fino ad oggi, l’Italia della cosmesi ha potuto vivere e produrre lontano dal consumatore finale, oggi però non può permettersi di perdere il treno dei nuovi canali.