Lo studio Pambianco sui fatturati 2016 delle profumerie mostra due velocità. Gli indipendenti, che lavorano sulla credibilità, battono i network che puntano all’espansione territoriale.
La profumeria in Italia ha (faticosamente) tenuto nel 2016. Lo studio sui fatturati del canale condotto da Pambianco Strategie di Impresa evidenzia per l’anno scorso qualche segnale di crescita, che andrebbe però depurato dall’ingrosso e da altre attività che gonfiano i dati di bilancio, aggiungendosi ai ‘puri’ valori retail del canale. Considerando comunque il fatturato depositato dai vari retailer, si può dedurre che le principali profumerie indipendenti performano meglio rispetto alle catene. Come si vede dai ranking pubblicati nelle pagine seguenti, le prime 12 profumerie indipendenti per fatturato avanzano del 4,3% sull’anno precedente. Segue in termini di crescita la top 12 delle catene regionali, che accelera del 2,8%, mentre non decollano le catene nazionali, con Llg che arretra (e infatti verrà acquistata da Douglas). Il canale in generale risente di un forte immobilismo: le profumerie sono pressoché omologate, con assortimenti simili tra i vari punti vendita, sostanzialmente dominati dai brand delle multinazionali, e con ben poca shopping experience. In questo contesto così indifferenziato, il 30% del mercato che è rappresentato dalle profumerie indipendenti performa meglio grazie alla sua riconoscibilità, trattandosi di negozi storici, di vicinato, che hanno investito sul personale e creato forti relazioni con la clientela. Viceversa, le catene nazionali puntano a massimizzare i profitti e agiscono sul territorio in un’ottica di espansione dei punti vendita e non di costruzione della credibilità per il singolo negozio. Resta però da vedere se la finanza (che ha guidato l’acquisizione Douglas-Limoni attraverso i rispettivi fondi) riuscirà a cambiare gli equilibri dello scacchiere.
di Vanna Assumma