Tavola rotonda di Pambianco Beauty con alcuni titolari di profumerie. Lo sviluppo del retail passa attraverso il riconoscimento della professione. La richiesta è unanime: serve una campagna di canale.
Manca una figura professionale specializzata e riconosciuta per la profumeria. Come il farmacista, l’erborista, l’estetista e il parrucchiere sono percepiti come ruoli di valore, allo stesso modo dovrebbe esistere una figura identitaria per questo canale. Il termine ‘profumiere’, infatti, non è utilizzato dalle consumatrici e soprattutto non è riconosciuta la specializzazione di questa figura che dovrebbe essere garante di sicurezza, competenza e professionalità. Questo problema di posizionamento (nonché una proposta concreta per la sua risoluzione) è stato uno dei punti chiave della tavola rotonda ‘Tra prestigio e innovazione. La profumeria di domani’, organizzata lo scorso ottobre da Pambianco Beauty per delineare le linee guida dell’evoluzione del canale. Alla tavola rotonda hanno partecipato diversi profumieri, a capo di negozi indipendenti, catene e consorzi, per discutere delle principali criticità che impediscono lo sviluppo del retail, e soprattutto per definire proposte di superamento. Il mercato attuale, infatti, è sempre più competitivo (farmacie, drugstore e vendite online rubano quote alle profumerie) ed è necessario ‘studiare’ le strade di sviluppo per fronteggiare questo complesso scenario. L’evoluzione della profumeria passa anche attraverso la differenziazione dei punti vendita, per emergere dall’omologazione generale, dato che i negozi propongono lo stesso assortimento senza creare una ‘personale’ shopping experience.
I PROBLEMI DI OGGI…
La tavola rotonda ha voluto far emergere, in prima battuta, le criticità maggiormente avvertite dal canale, per poi passare, in un momento successivo, alle proposte (fattibili) per la ‘profumeria di domani’. I partecipanti hanno così evidenziato, tra i nodi più spinosi, lo scarso interesse del pubblico giovane. “La maggior parte della nostra clientela è over 30 – ha esordito Maurizio Sabbioni, titolare di Sabbioni Profumi, nonché presidente di Ethos Profumerie – e la disaffezione del target giovane è dovuta anche al fatto che le Millennials sono poco fedeli al brand, spesso non ne riconoscono il valore”. Altri profumieri hanno osservato invece che non è in discussione il legame tra le consumatrici ‘in erba’ e il brand, ma piuttosto la loro affezione al canale. “Le Millennials – ha affermato Ernesto Coruzzi, presidente e AD di Comar Profumerie – sono attratte da realtà moderne, con format che consentono uno shopping in autonomia, e da un ambiente diverso da quello della profumeria tradizionale”. Gli ha fatto eco Francesca Beghin, consigliere di Profumerie Beghin, specificando che oggi le giovani preferiscono un altro tipo di shopping, ad esempio acquistano più facilmente articoli di tecnologia, viaggi, borse e accessori moda, piuttosto che prodotti beauty. “Però – ha aggiunto – sono molto attratte dal make-up, e anche dall’allure del brand”. Il problema è che la cosiddetta generazione Y ha un ridotto potere d’acquisto e, di conseguenza, la profumeria selettiva con le sue proposte prestige non è il canale ‘giusto’ per questo target. Però, Mara Zanotto, DG di Ethos Profumerie, ha ribattuto che questo è un ‘falso problema’: “Laddove c’è una mamma ricca, c’è anche una figlia ricca. Cioè – ha osservato – dobbiamo abituarci a profilare i clienti, a selezionare il target a cui vogliamo rivolgerci. Aggiungo che una ragazza under 25 non entra facilmente in empatia con una vendeuse over 40. Anche questo elemento sarebbe da prendere in considerazione”. La necessità di una commessa giovane per un target giovane è un ‘nodo’ che ha diviso i profumieri. Mentre Francesca Beghin ha sostenuto che, avendo un basso turnover in negozio, dispone di commesse molto competenti ma agé, fatto che allontana le giovanissime, viceversa altri hanno sottolineato che la capacità di accoglienza e la professionalità di una vendeuse non sono legate all’età anagrafica. “Sto ragionando sulla possibilità di introdurre in uno dei miei negozi una beauty assistent giovane – ha aggiunto Coruzzi – ma ritengo che sia ancora più importante creare un corner dedicato alle Millennials all’interno del punto vendita. Ovvero uno spazio con prodotti ad hoc per questo target, sviluppato con un format tecnologico e ludico, dotato di schermi digitali e di un angolo per sedersi e truccarsi”. Secondo altri profumieri, ciò che latita invece è l’offerta. Mancano prodotti che portino le ragazze a curare la propria pelle, ad abituarsi al ‘trattamento’. Lo ha sostenuto Carlo Rossi, amministratore unico di Rossi Profumi: “Il 90% dell’offerta delle aziende è legato ai prodotti antirughe, mentre le Millennials necessitano di detergenti e di creme idratanti. Capisco che il business sugli antiage è più proficuo, e che questi articoli assolvono a un problema reale delle consumatrici, mentre la mancanza di idratazione non è percepita dalle donne. Di conseguenza, è più difficile la vendita di cosmetici idratanti”. Per questi motivi, sono ancora poche le aziende che realizzano prodotti ad hoc per le under 30. Alla carenza dell’offerta si aggiunge un problema culturale: come ha sottolineato Francesca Beghin, “bisogna sviluppare una cultura del consumo in profumeria”. Pensiero condiviso da Achille Marieschi, amministratore unico di Laboratorio del Duomo: “Le clienti della profumeria attuale sono cresciute e ‘invecchiate’ con il negozio. Le giovani invece vanno educate alla cultura della profumeria. E penso anche che sia necessario ampliare l’assortimento con prodotti rivolti a chi ha un potenziale di spesa contenuto”. Infine, ha riassunto il pensiero dei presenti Michelangelo Liuni, titolare di Profumerie Pepe e presidente di Fenapro: “Bisogna cambiare il percepito. Il driver di sviluppo è comunicare alle Millennials che la profumeria è un luogo dove si entra per diventare belli, è il tempio per eccellenza della bellezza. Al contrario in farmacia, per fare un esempio, si entra per curarsi. Per attirare le giovani, allora, si deve comunicare l’allure di questo canale e costruire l’immagine del punto vendita”. Liuni ha specificato che non ci si può affidare solo alle campagne di comunicazione delle aziende, perché anche il retail deve fare la sua parte, con eventi, inziative e azioni di visual merchandising. “Uscire da una profumeria con una bella shopper – ha concluso – è diverso che uscire con un sacchetto della farmacia”. Oltre alla disaffezione dei Millennials verso il canale, un altro problema sollevato durante la tavola rotonda è stato quello dell’eccessiva referenziazione. “In un negozio con assortimento medio-alto – ha illustrato Marieschi – circa l’80% delle referenze ha una rotazione pressoché nulla”. Marieschi ha messo sul piatto un tema ‘caldo’, perché i negozianti ritengono che le aziende immettano sul mercato un eccessivo numero di lanci che non si identificano in reali innovazioni, ovvero in diverse formulazioni di prodotto, ma semplicemente in declinazioni (di marketing) di articoli già esistenti. Giorgio Cacchione, titolare di Profumeria Nicolucci a Termoli, nonché presidente del Consorzio Arcobaleno Profumerie, ha spiegato che questi ‘prodotti-fotocopia’ costano poco alle aziende, perché le imprese dispongono già del logo e del contenitore del prodotto. Insomma, come ha sintetizzato Marieschi, “bisogna che il mercato lanci innovazione e non novità”. Del resto, le rotazioni maggiori sono sui prodotti ‘storici’, consolidati, non sulle novità di stagione. È quanto ha affermato Carlo Rossi, aggiungendo che le imprese non investono più in alcuni segmenti, come quello dei solari, delle creme per il corpo e dei prodotti per i capelli. Queste tre merceologie, un tempo vendute in profumeria, sono state cooptate dalla farmacia, ma recentemente si stanno spostando verso i drugstore, causando così un danno anche per le aziende, ovvero un crollo dei margini.
…E LE SOLUZIONI (FATTIBILI) DI DOMANI
Una volta messe sul tavolo le criticità, i negozianti sono stati chiamati a immaginare percorsi concreti e realizzabili per il rilancio del canale. L’attenzione maggiore è stata rivolta alla formazione del personale. “Purtroppo – ha sentenziato Rossi – le vendeuse del canale profumeria spesso non sono preparate. La professionalità comincia dal primo approccio, quando la consumatrice entra in negozio, e deve essere accolta con un saluto. È dal benevenuto che si gioca il rapporto con la cliente”. Ha rinforzato il tema Cacchione: “In particolare nel centro-sud Italia, il ruolo di ‘commessa’ in profumeria è considerato un impiego temporaneo, una sorta di ripiego, non un mestiere vero e proprio”. Zanotti ha osservato che la mancanza di professionalità è maggiore nei negozi dove esiste un elevato turnover, perché il Consorzio Ethos realizza ogni anno un’indagine di mercato tra i consumatori dei suoi punti vendita associati, dalla quale emerge che il personale è tra i primi valori riconosciuti. Bisogna dire però che, anche nei punti vendita dove il personale è presente da diversi anni, la formazione è relegata esclusivamente ai corsi realizzati dalle aziende sui singoli prodotti. Il personale cioè non acquisisce competenze legate alle tecniche di vendita, alla capacità di raccontare i prodotti e di profilare i clienti. In sostanza, le vendeuse si affidano solo alla propria abilità relazionale. E, infatti, “manca un albo della professione” ha ricordato Rossi. Però, una proposta concreta per il riconoscimento ufficiale della figura di ‘profumiere’ è arrivata dal presidente di Fenapro: si tratta di un progetto di certificazione professionale, che verrà sviluppato attraverso corsi di formazione che dureranno circa 700 ore e partiranno in via sperimentale con la Regione Piemonte. “L’obiettivo è creare una figura – ha spiegato Michelangelo Liuni – che avrà non solo competenze di product inventory e di storytelling, ma anche skill sulla gestione del punto vendita, con professionalità economiche e aziendali”. L’idea sottostante è che, creando una figura identitaria del canale, la stessa profumeria possa giovarne e differenziarsi dagli altri canali. La profumeria, a detta dei presenti, deve tornare a raccontare la bellezza, far vivere un incanto, un’emozione, deve essere un salotto. E la professionalità del personale è un elemento indispensabile per far vivere un’esperienza di alto livello. Questo argomento è stato declinato anche da un punto di vista ‘culturale’. Cioè, oltre alla certificazione della professione, i negozianti hanno detto che bisognerebbe cambiare il percepito sociale verso questo ruolo e verso il canale. “Stiamo già lavorando con l’industria – ha annunciato Liuni – per realizzare una comunicazione di canale. Si tratterà di azioni pubblicitarie legate a particolari momenti dell’anno”. Obiettivo della comunicazione sarà lo sviluppo di una ‘cultura della profumeria’. Però Sabbioni ha avvertito che la pubblicità istituzionale è necessaria, ma è importante che venga fatta in modo sistematico, altrimenti rischia di non ‘bucare’ la mente degli spettatori. Per concludere sul tema, è stato ricordato che il mercato italiano è profondamente diverso dagli altri Paesi europei: nella Penisola, infatti, il 54% delle profumerie sono indipendenti, la restante percentuale è in mano alle catene. In Francia, Germania e Inghilterra è esattamente l’opposto, perché il mercato è in mano a pochi grandi gruppi. “Ma in questi Paesi – ha concluso Liuni – i consumi di bellezza sono minori rispetto a quelli italiani. Significa che gli acquirenti hanno sfiduciato queste forme di accorpamento. Ecco perché bisogna fare un percorso di canale, proprio per valorizzare l’identità della profumeria italiana”. Un’altra soluzione per sviluppare le vendite è stata avanzata da Augusto Mazzolari, AD di Mazzolari, e consiste nell’ampliamento delle merceologie in vendita nel canale: “Un tempo si entrava in profumeria per comprare, non solo prodotti di bellezza, ma anche accessori: una bella spazzola, una molletta raffinata, un beauty case particolare. Bisogna ritornare a questo modello, perché soddisfa sia un’esigenza di praticità, ovvero la possibilità di trovare più referenze sotto lo stesso tetto, sia un piacere sensoriale. Entrare in un luogo pieno di ammennicoli e di oggetti ben riposti è una coccola, un piacere per lo sguardo”. E l’AD della società ha notato che, quando mette gli accessori in vetrina, il 60% delle persone che entrano in negozio è composto da consumatori nuovi, in cerca proprio degli accessori. “Ho appreso l’attenzione verso il particolare – ha concluso Mazzolari – da Rodolfo Gucci, che possedeva una boutique in via Montenapoleone a Milano e aveva creato un negozio dentro il negozio”. E infatti Mazzolari ha aperto nel tempo diversi spazi, come quello per l’haircare, gli eventi e i profumi di nicchia. Quest’ultimo settore ha sollevato perplessità tra i presenti: “Perché introdurre i brand di profumeria artistica – si è chiesto Carlo Rossi – quando l’azienda di nicchia più profittevole in Italia fattura meno di un milione di euro?”. Il business è ristretto, ma, come Mazzolari ha evidenziato, per una profumeria si tratta di un ampliamento dell’assortimento che può soddisfare alcune specifiche esigenze. Queste sono alcune delle strade per la ‘profumeria di domani’ presentate nel corso della tavola rotonda. Resta ancora molto da fare verso la differenziazione dei vari punti vendita, ad esempio investire nello scouting di nuovi marchi o nell’appeal del layout. Serviranno altri passi, ma l’importante è muoversi.
di Vanna Assumma