La profumeria artistica è in crisi d’identità: l’aumento dei marchi a pitti fragranze, così come l’ingresso delle multinazionali nel settore, comporterà un’evoluzione e nuovi equilibri competitivi.
La nicchia cresce. Secondo le previsioni fornite da Silvio Levi, presidente di Calé, durante la scorsa edizione di Pitti Fragranze, il settore della profumeria artistica quest’anno crescerà del 9% in Italia, totalizzando un giro d’affari di 200 milioni di euro. Se confrontato con il valore previsionale di tutto il comparto beauty nazionale, ovvero 10,5 miliardi di euro nel 2016, questa cifra in effetti può sembrare piccola, ma secondo Levi bisogna leggere il dato da un’altra angolazione. “Il mercato dei profumi di nicchia – racconta il presidente di Calé, che ha chiuso il primo semestre 2016 in crescita del 23% – va confrontato solo con il valore totale del settore profumi, che quest’anno sfiorerà 1,1 miliardi di euro. L’incidenza, così, diventa interessante”. Del resto, che la nicchia cresca a livello numerico lo dimostra Pitti Fragranze. Il salone fiorentino è cambiato nel tempo: nel 2007 contava 3 produttori e 17 distributori, mentre nel 2015 il numero dei produttori è salito a 54 e quello dei distributori a 20 società. Quest’anno, alla 14esima edizione erano presenti 271 marchi (176 provenienti dall’estero e 80 nomi nuovi). Ma ancora più significativo è l’interesse dei visitatori, che mostra un trend crescente negli anni, fino ad arrivare ai 3.800 della scorsa edizione di Pitti Fragranze. Tra questi era presente in realtà un pubblico eterogeneo di consumatori, ma per quanto riguarda solo i buyer, sono 2.150 i compratori che hanno partecipato alla 14esima edizione, dei quali 675 provenienti dall’estero. I buyer stranieri risultano in crescita del 4% rispetto a un anno fa, edizione che a sua volta si era chiusa in aumento. Le presenze più assidue sono state quelle dei francesi (+23%), degli spagnoli (+7%), degli olandesi (al raddoppio) e sono arrivati in massa anche dai Paesi dell’Europa del Nord, così come dall’Ucraina (+11%). Stabili invece le presenze dall’Italia.
I BIG SCENDONO IN CAMPO
Spinte dalla crescita del settore, e probabilmente anche da ragioni di prestigio, le multinazionali hanno mostrato il loro appetito. Da due anni, infatti, i grandi gruppi sono a caccia di brand di nicchia: L’Oréal ha rilevato Atelier Cologne, Puig è diventato azionista di minoranza di Eb Florals, dopo avere acquisito Penhaligon’s e L’Artisan Parfumer, The Estée Lauder Companies ha una quota partecipativa in Have & Be Co., società sudcoreana proprietaria dei marchi Dr. Jart+ e Do The Right Thing, e infine Unilever ha realizzato l’anno scorso ben quattro deal nello skincare: Murad, Dermatologica, Kate Somerville e Ren Skincare. Anche le maison del lusso, come Chanel, Giorgio Armani, Tom Ford e Prada, stanno entrando nell’alta profumeria con collezioni ‘private’, cioè fragranze per pochi, in vendita esclusivamente nelle loro boutique monomarca e in selezionatissimi department store.
QUELLI CHE …. SI SEPARANO
L’ingresso delle multinazionali e dei grandi player in un settore che è costituito da piccole aziende e, soprattutto, da distributori italiani di brand stranieri, turberà gli equilibri competitivi. “La potenza di fuoco che mette in gioco una multinazionale – commenta Roberto Drago, titolare di Kaon – è indubbiamente schiacciante. Però i marchi acquisiti dai grandi gruppi diventeranno presto commerciali”. Drago ritiene cioè che le multinazionali applicheranno ai brand di nicchia acquisiti le logiche creative e di marketing che sono proprie di brand tradizionali con una distribuzione allargata. La profumeria artistica, invece, si contraddistingue per il fatto che il processo creativo è guidato solo dalla visione personale del ‘naso’, dal suo estro olfattivo, senza alcuna attenzione né ai trend né ai bisogni del pubblico. Un’altra differenza rispetto ai profumi tradizionali è che le essenze artistiche vengono commercializzate in pochissimi punti vendita, poco più di un centinaio di negozi in Italia. “I brand comprati dai grandi gruppi – riprende Drago, che chiuderà il 2016 con ricavi a 3 milioni di euro – diventeranno una sorta di nicchia commerciale, ma rimarrà uno zoccolo duro che continuerà a formare la ‘vera’ nicchia”. Gli fa eco Amelia Liberati, AD di Dispar che chiuderà il 2016 a 3 milioni di euro: “I grandi gruppi devono fare alti volumi e alti fatturati. La nicchia non glielo permette. Questo settore produce 500 pezzi l’anno contro i 10mila pezzi della profumeria tradizionale, quindi il costo per pezzo delle essenze di nicchia è molto superiore rispetto a quello delle fragranze commerciali”. Con queste considerazioni, anche Liberati pensa che in futuro i brand acquisiti dai colossi del beauty non saranno più identificabili come marchi di nicchia. Chi invece ritiene superfluo fare queste differenziazioni è Peter Gladel, CEO di Beauty and Luxury, distributore che prevede una chiusura anno con ricavi a 40 milioni di euro, in progressione del 48 per cento: “Non ha senso applicare queste etichette su cosa è nicchia e cosa non lo è. Alla fine è il consumatore che decide. Ritengo anzi che l’ingresso delle multinazionali porterà una concorrenza sana e benefica per il settore”.
QUELLI CHE… SI ALLARGANO
Un esempio di ampliamento dei confini della nicchia viene da Starck Paris, la neonata linea di profumi del designer francese Philippe Starck, in distribuzione in Italia attraverso Luxury Lab Cosmetics, che l’ha inserita presso La Rinascente Duomo a Milano e progressivamente in 120 selezionate profumerie della Penisola. Come racconta Adele Schipani, CEO della società, Starck Paris propone un nuovo modello di consumo: “Con le essenze prodotte dal noto designer – afferma – inauguriamo un nuovo mercato che sta a metà tra la profumeria commerciale e quella artistica. Starck Paris ha un posizionamento che darà un grande aiuto alle profumerie tradizionali, perché potranno godere di un marchio di alto contenuto valoriale, che ha le caratteristiche proprie della profumeria artistica”. Schipani aggiunge anche che, a livello retail, i punti vendita specializzati esclusivamente nelle fragranze artistiche sono in difficoltà perché hanno pochi ingressi. Del resto, il profumo non fidelizza il cliente, mentro lo skincare sì. Le consumatrici cambiano spesso le fragranze, a seconda della stagione, dell’umore, dell’ora della giornata e anche per il semplice gusto di sperimentare. Invece, una volta trovata la crema giusta per la propria pelle, non si torna indietro. “Per questo ritengo che le profumerie di nicchia dovrebbero introdurre in assortimento marchi di skincare. Motivo per il quale abbiamo presentato anche lo skincare Natura Bissé a Pitti Fragranze” aggiunge l’AD di Luxury Lab, che chiuderà il 2016 a 2,5 milioni di euro, con una crescita esponenziale del 130%, in seguito all’acquisizione del marchio israeliano Ahava nel luglio 2015.
LE TENDENZE SONO OUT
Mentre le aziende del beauty tradizionale investono ingenti risorse nel marketing per definire i bisogni del proprio target e delineare le tendenze che si affermeranno sul mercato, nel mondo della profumeria artistica la parola ‘trend’ è un tabù. Per lo meno, è quello che affermano i paladini della ‘vera’ nicchia. Maison Rancé 1795, ad esempio, ha una storia lunga 220 anni, che nasce in Francia ma si sviluppa e cresce in Italia. Si tratta di un’azienda storica della profumeria artistica, e infatti si caratterizza sul mercato per la sua capacità di innovare, di sperimentare nuove strade, sentieri olfattivi non ancora provati. “Lanceremo presto sul mercato – racconta Giovanni Rancé, direttore creativo della maison – una fragranza gourmand, che è del tutto inaspettata. A differenza di ciò che caratterizza solitamente questa famiglia olfattiva, il nostro nuovo profumo non presenta note zuccherine, ma una costruzione molto complessa, che noi chiamiamo ‘Pan di Spagna’, che vede anche incursioni di zafferano, incenso e vaniglia”. Rancé spiega come questa nuova fragranza sia un esempio di esplorazione di sentieri olfattivi già percorsi, ma reinterpretati in modo diverso. Perché le aziende della profumeria artistica, appunto, hanno il ruolo di creare le tendenze, non di seguirle.
di Vanna Assumma