La generale ripresa del canale, che sembrava profilarsi sul finire del 2015, non si è verificata. I motivi? L’incertezza economica. Ma anche l’eccessiva referenziazione. Si distingue chi punta sul lusso.
Un 2016 a corrente alternata. Così si presenta il primo semestre di quest’anno che vede andamenti diversi per le profumerie selettive in Italia. C’è chi sale e chi scende, ma in generale non si nota la ‘grande ripartenza’ che si profilava a fine 2015 e che faceva sperare in un 2016 finalmente a vele spiegate per il canale. Lo scorso Natale, infatti, aveva fatto presagire un nuovo corso, sembrava l’innesco di una svolta. “Pensavo che il 2016 sarebbe stato l’anno-zero della ripartenza – sentenzia Massimo Cavini, socio titolare di Profumerie Aline – e invece si stanno alternando mesi in sofferenza a mesi migliori. L’andamento è altalenante, ma alla fine da gennaio a maggio abbiamo registrato un calo delle vendite del 3 per cento. Il 2015, invece, l’avevamo chiuso a +6 per cento”. Sia Cavini sia Cristina Querci, consigliere di amministrazione di Profumerie Sbraccia, additano la mancata ripresa dei consumi alla situazione economico-politica che, tra attentati, crolli in Borsa ed elezioni, ha creato allarme e insicurezze. “E inoltre – sottolinea Querci – la consumatrice opta per un mix di prodotti tra quelli più cari e quelli meno cari, a differenza di un tempo, quando comprava tutto rigorosamente griffato”. Insomma, la crisi spinge le consumatrici a una maggiore attenzione al fattore prezzo, come osserva Achille Marieschi, amministratore unico di Laboratorio del Duomo: “Le aziende cosmetiche dovrebbero ripensare al posizionamento prezzo dei prodotti, e in particolare dello skincare, dove subiamo la concorrenza della farmacia. In questo canale infatti l’acquisto di creme è economicamente più vantaggioso rispetto alla profumeria”. Se si vuole conquistare la cliente senza alleggerire troppo il suo portafoglio, Marieschi chiede alle aziende di trovare soluzioni accattivanti, come potrebbero essere i mini-formati. Lanciare mini-size da 15 ml potrebbe diventare una sorta di entry price per i brand prestige. Un altro tema caldo è l’eccessiva referenziazione: “Un negozio medio – aggiunge Marieschi– ha circa 13mila referenze, di cui metà solo per il make-up, e molte di queste non ruotano per nulla, sostanzialmente fanno ‘arredamento’. È un paradosso insostenibile”. Insomma, prezzi alti, troppi prodotti (che non presentano una reale innovazione), e incertezza politica che non predispone le persone all’acquisto. A questo si aggiunge il fenomeno della concorrenza sleale, soprattutto nel sud Italia: “Molti cosmetici vengono venduti in profumerie non autorizzate – sentenzia Rita Fusco, responsabile di Fusco Profumerie a Napoli – cioè da punti vendita che non hanno avuto la concessione dalle aziende titolari del brand. Questa concorrenza sleale avviene anche online, con siti e-commerce ‘selvaggi’. E si combatte tutta sul fattore prezzo”. Ciò detto, è pur vero che il settore bellezza vive oggi una difficoltà ‘strutturale’, perché la crisi nel settore cosmetico è arrivata più tardi rispetto ad altri comparti merceologici. Se, in generale nel mercato, i primi segnali di burrasca economica si sono fatti sentire nel 2008, nel mondo beauty i venti avversi hanno soffiato attorno al 2011. “La crisi è arrivata dopo e altrettanto più tardi se ne andrà – osserva Marieschi – anche se prevedo che non si ritornerà mai ai numeri pre-crisi”. Va detto inoltre che i segnali di una vera ripresa riguardano sia le vendite a valore che a volume. Spesso accade che le prime avanzino a discapito delle seconde. È il caso di Rossi Profumi, la cui catena di profumerie ha generato un incremento del 3% delle vendite nei primi 4 mesi del 2016. “Ma si tratta di un aumento solo a valore – specifica Carlo Rossi, amministratore unico della società – e non a volume, e si riduce anche il numero degli scontrini. Questo è un problema, perché il traffico in negozio non aumenta e il rischio è che le persone si disabituino a venire in profumeria”.
MA C’È CHI AVANZA
La crescita a valore e non a volume può avere diverse ‘letture’. La più condivisa è che vengano vendute categorie di prodotti a prezzi più elevati, nonché brand prestige a discapito di quelli con un posizionamento più basso. Ne consegue che, nonostante alcuni profumieri ritengano che i prezzi dei prodotti debbano essere abbassati, in realtà performano meglio proprio i cosmetici che appartengono alla categoria ‘high level’. Chi punta sul lusso infatti ha registrato quest’anno bilanci positivi. Mazzolari, dopo un febbraio incerto, ha visto una risalita delle vendite e ha chiuso i primi 5 mesi dell’anno a +6 per cento. “Non si tratta solo di un incremento a valore – racconta l’AD Augusto Mazzolari – perché è aumentato anche il traffico in store. In salita anche la presenza di stranieri, interessati soprattutto al negozio per capelli e a quello della nicchia. Se un tempo entravano i russi, adesso sono in prevalenza arabi”. Mazzolari, che dispone di 6 punti vendita a Milano (di cui 3 in Piazza San Babila che costituiscono quasi un corpus unico) registra una crescita della sua private label, composta da 322 articoli. Soddisfazione anche in casa Comar Profumerie: i 5 negozi tra Parma e Guastalla (Reggio Emilia) hanno registrato un sell-out in calo del 6% nel mese di gennaio, ma poi febbraio ha fatto +26,3%, marzo +10,9%, aprile +7,8% e maggio +7 per cento. “Quest’anno il tempo ci ha dato una mano – commenta Ernesto Coruzzi, presidente e AD di Comar Profumerie – perché febbraio è stato mite, mentre l’anno scorso ha nevicato parecchio a Parma e abbiamo registrato una frenata delle vendite (-12%). Ho anche inserito nuovi brand di alta gamma all’interno del negozio che registra lo scontrino medio più alto, e, tra queste new entry, cito le linee soin e make-up di Armani e Chanel. Il risultato è stato immediato: dopo solo un mese ho avuto un incremento del 30% delle vendite”. Bisogna anche dire che per diversi punti vendita la crescita è attribuibile soprattutto all’ingrosso, come avviene per Bontempo Profumi, il cui fatturato è suddiviso tra retail (30%) e ingrosso (70%). “Quest’ultimo ha performato bene – aggiunge Luca Falcione, amministratore unico di Bontempo Profumi – ma il 2016 è partito con il vento in poppa anche per il retail. Infatti i ricavi dei nostri punti vendita nel primo trimestre sono cresciuti del 5 per cento. Se comprendiamo anche l’ingrosso, nel trimestre abbiamo totalizzato un fatturato a +15% e nel semestre a +7 per cento”.
di Vanna Assumma