C’è la supply chain al centro dello scenario di sfide e criticità con cui le filiere globali si stanno interfacciando. Quella del beauty non fa eccezione, anch’essa messa di fronte alla complessità di un panorama macroeconomico instabile, tra pressioni inflazionistiche e l’aumento dei costi lungo la catena di approvvigionamento. Ma anche rincari energetici, rallentamenti nei trasporti e un conflitto, quello Russia-Ucraina, che scompagina le carte dello scacchiere mondiale. Inevitabile per i marchi lo sforzo impellente di ripensare la scelta degli ingredienti impiegati, le dinamiche delle proprie operazioni, i processi produttivi e i prezzi, cercando di non fermare la spasmodica corsa verso la ripresa e mitigando la morsa della marginalità. Le sfide di questo 2022 a fine partita sono tante, e non promettono di dimuire con l’anno a venire ma, anzi, di proseguire almeno per tutto il 2023 o addirittura l’inizio del 2024, ha predetto Audrey Depraeter-Montacel, global beauty lead di Accenture.
È uno dei grandi temi del post-Covid: l’approvvigionamento difficoltoso delle materie prime, tra problemi di scarsità e l’impennata incontrollata dei costi. Per alcuni marchi, la riformulazione dei prodotti si è rivelato uno strumento chiave per la riduzione dei costi e una soluzione alternativa per aggirarli. Unilever per esempio, si legge su Vogue Business, ha sostituito gli ingredienti di alcuni prodotti, poiché materie prime come l’olio di girasole continuano a scarseggiare dallo scoppio dell’invasione russa dell’Ucraina, produttore di metà delle esportazioni mondiali di olio di girasole. Ma sono diversi i marchi che lamentano anche carenze di acido citrico e glicerina, tra gli altri ingredienti. “I fornitori di materie prime stanno assistendo a una carenza di componenti di cui hanno bisogno per produrre le materie prime stesse, il che genera un effetto domino che influisce sul processo produttivo complessivo dei prodotti finiti”, ha spiegato Caroline Hadfield, presidente e CEO di Rose Inc. “Lo stiamo vedendo su tutta la linea, indipendentemente da dove vengono prodotte le materie prime”.
Anche la riformulazione, però, dal canto suo è un processo costoso, che prevede numerosi test, sostituzione degli ingredienti nella produzione, aggiornamento degli imballaggi e riproposizione e rinnovata spedizione dei prodotti ai rivenditori e agli influencer. “L’impatto è di vasta portata” – hanno confermato i fratelli Mehta, fondatori di Fable & Mane -. È difficile per i marchi emergenti perché il flusso di cassa è limitato mentre un’azienda più grande può provare la produzione con più Sku (unità di stoccaggio, ndr)”, spiegano. Di conseguenza, la capacità di cambiare ingredienti e materiali è diventata sempre più ambita in questo momento storico, spingendo i marchi più grandi a impratichirsi in un trasformismo che si è rivelato prezioso. Oltre che i piccoli brand, anche il fronte green patisce la nuova esigenza di reinventare con velocità ed efficacia ingredienti, formulazioni e packaging. I marchi che si identificano come ‘clean’, orientandosi quindi verso una spiccata sensibilità (dei consumatori, innanzitutto) alla sostenibilità e dando la priorità all’approvvigionamento sostenibile possono avere più difficoltà a trasformarsi adattandosi alle mutevoli esigenze di questo scenario così complesso. Il reperimento e la sperimentazione di alternative vegetali agli ingredienti ‘tradizionali’, come i siliconi, richiedono più tempo e risorse, costringendo i brand che ne hanno fatto il proprio core bussiness a rallentare dietro i giganti della cosmesi ‘mainstream’.
L’articolo completo è disponibile nell’ultimo numero 6 di Pambianco Magazine Beauty.