Coty accelera in direzione dell’inclusività, dell’accessibilità e della sostenibilità dei prodotti. A confermarlo è Giuseppina Violante, Vice President Emea Portfolio & Business Growth Luxury Coty Italia, tra i relatori del 5° Beauty Summit di Pambianco in collaborazione con Cosmetica Italia. Per il futuro il gruppo scommette sulla forza dei personality-lead brands, ma anche sull’equity dei marchi fashion italiani.
Coty è un gruppo che ha vissuto molte trasformazioni. Un anno fa è arrivata una nuova CEO. Che cambiamenti ha portato?
Coty nasce nel 1904 da un’idea di François Coty e come azienda vive molteplici evoluzioni. Oggi siamo nel pieno di un’altra fase di cambiamento. Sue Naby è stata nominata CEO di Coty a luglio 2020 ed è un po’ la Serena Williams del beauty. È una manager di grande spessore, una veterana del settore e arriva dopo figure di vertice che non erano ‘native’ del beauty. Ha dato un forte impulso alla ricerca tecnologica, ma sta anche contribuendo a un cambiamento culturale. Durante la pandemia, è emersa ancora di più l’importanza delle persone che lavorano in un team. Sue Nabi sta facendo un enorme lavoro promuovendo diversity e inclusività, conoscendo i benefici che ne derivano anche nella creazione dei prodotti. Oggi abbiamo un senior leadership team a maggioranza femminile. Portare diversity e inclusion al centro del team e dell’azienda ci permette di capire anche i consumatori, perchè siamo più vicini a loro e cogliamo i cambiamenti nelle abitudini di scelta e di acquisto.
Questo approccio impatta quindi sul business?
Il valore delle azioni è aumentato, quindi la Borsa l’ha presa molto bene. C’è un grande lavoro di ricerca e sviluppo che stiamo portando avanti in questo senso. L’importanza di questi temi si riflette anche nella scelta dei testimonial. I consumatori ci stanno dicendo che il beauty e l’industria in generale hanno bisogno di autenticità, anche nelle storie dei talenti che ci rappresentano. Questo è un esempio chiaro di come cambia il nostro modo di proporci sul mercato.
Quale è il perimetro di Coty a livello globale?
Abbiamo completato lo spin-off di Wella, venduta a KKR nel 2020, per concentrarci sul core business di Coty, rappresentato dal mondo luxury delle fragranze e dal mondo del make-up. Questo è un punto di forza, ma talvolta anche di debolezza, perchè abbiamo un portafoglio, in un senso o nell’altro, sbilanciato su una categoria. Il driver dei prossimi anni credo sia ribilanciare le categorie all’interno del nostro portafoglio e le geografie. L’area Emea è la nostra prima region, mentre sui mercati asiatici, ad esempio, siamo ancora dei challenger. Sicuramente abbiamo il privilegio di lavorare con dei partner fashion molto forti, come Gucci o Burberry. Dove c’è la forza del ‘megabrand’ c’è la capacità di avere, contestualmente, un’offerta accessibile e una grande aspirazionalità, quindi una brand equity molto forte. Partendo da questi elementi ci sono possibilità di estensione dell’offerta ad altre categorie oltre alle fragranze. Da un paio d’anni, ad esempio, abbiamo avviato l’espansione di Gucci Make Up, che è molto forte in Asia. Anche il Middle East è un mercato in cui l’italianità è un punto di forza.
Avete un vostro e-commerce?
Avviamo un portale e-commerce per i brand di Kim Kardashian e Kylie Jenner. Per il resto, ci serviamo in tutto il mondo di partnership con i retailer. I diversi mercati hanno diversi livelli di penetrazione dell’e-commerce. In Italia l’esperienza nel punto vendita resta molto importante. Sicuramente c’è la necessità di un’evoluzione tecnologica dei negozi, ma la relazione è fondamentale.
Come è cambiato il mercato italiano?
L’Italia è un mercato più piccolo rispetto ad altri Paesi, ma conserva un ruolo di trendsetter per la forza dei brand italiani. Il nostro Paese fa da laboratorio di sperimentazione e sviluppo per i prodotti, la creatività e per la comunicazione.
In futuro quanto conteranno i brand di proprietà?
La visione di Sue Nabi è quella di creare dei global brands. Noi oggi abbiamo dei regional brands, inteso ovviamente come macro-regioni, ma l’obiettivo è quello di svilupparli su scala globale e trovare, all’interno del nostro portafoglio, quei marchi che possano permetterci di conquistare delle nuove aree. Lancaster è uno di quelli: è un brand europeo che ha una brand equity fortissima in Cina, dove infatti stiamo portando avanti progetti di sviluppo.
Quindi punterete più su questo tipo di brand o sul business delle licenze?
Stiamo sperimentando nuovi modelli di business come quello dei personality-lead brands, come Kylie Cosmetics o KKW Beauty. Questi brand intercettano le esigenze dei consumatori: nascono intorno a una community che condivide valori e specificità e sono animati da personalità che li incarnano. Il legame molto forte viene messo a terra in una linea di prodotti e in modalità di comunicazione ad hoc. È un trend alimentato dai social network e credo caratterizzerà l’industria del beauty dei prossimi anni. Tutte le multinazionali dovranno farci i conti e capire i consumatori attraverso i big data. Altri trend già attuali sono la sostenibilità, l’inclusività e l’accessibilità. Inclusività vuol dire creare prodotti che siano pertinenti per gruppi di consumatori che hanno necessità specifiche, che includiamo nella nostra idea di bellezza, che quindi non è univoca nè stereotipata. Accessibilità invece non è solo accessibilità di prezzo, ma è la possibilità che i prodotti arrivino dal consumatore ovunque si trovi. In questo senso l’e-commerce ha un ruolo cruciale.