La farmacia (e parafarmacia) nella realtà italiana di Filorga è il canale principale e pesa per circa l’80% del fatturato. “Lo abbiamo scelto come partner principale della nostra distribuzione perché ci da supporto scientifico e capillarità”, spiega il general manager Fabio Guffanti.
“Filorga oggi è presente a livello internazionale con oltre 15 filiali in 60 Paesi. In Italia siamo presenti con una filiale da 6/7 anni e lavoriamo trasversalmente in tutti i canali distributivi come farmacia, parafarmacia, profumeria, department store e naturalmente digital commerce”. Queste le parole di Fabio Guffanti General Manager Laboratoires Filorga Italia, che ha deciso di intraprendere un nuovo percorso professionale in accordo con Laboratoires Filorga Italia. Al suo posto Roberto De Santis già direttore commerciale della filiale italiana da luglio 2019.
Come sono andati gli ultimi 5 anni di Filorga in Italia?
In Italia abbiamo replicato il modello che era partito qualche anno prima in Francia con un successo piuttosto rapido. I mercati, ovviamente, sono diversi, così come sono diverse le culture, quindi qualche adattamento lo abbiamo fatto ma di fatto c’è stata consegnata una marca che aveva in sé gli elementi per avere successo.
Che differenze avete notato nel passaggio in Italia?
L’aspetto distributivo è la differenza maggiore. L’input del fondatore e dell’azionista è stato in tutti i paesi “noi non nasciamo legati ad un solo circuito”, è stata costruita una marca capace di esprimersi dal punto di vista dell’atteggiamento, dei codici, del mix, del prezzo al meglio in canali anche abbastanza diversi tra loro. La verità è che i paesi nel mondo hanno strutture distributive molto diverse. Francia e Italia non così tanto, ma se pensiamo alla Cina, ai paesi nordici in Europa, agli Stati Uniti, ecco tutti questi paesi hanno assetti distributivi diversi. La scelta dell’Italia per ragioni di source of business, tradizione ed endorsement, è stata quella di privilegiare la farmacia come canale. Oggi la farmacia vale circa l’80% del nostro fatturato, e questo ha dato alla marca da subito una certa legittimità, una credibilità scientifica, oltre ovviamente a una capillarità che il selettivo non ha. Il ruolo della profumeria, che comunque è un circuito molto importante per noi, è stato invece quello di dare alla marca un posizionamento, un’allure. E la sintesi di questi due circuiti ha reso intanto la marca più disponibile.
Su quante porte siete disponibili oggi?
Siamo su poco meno di 2mila farmacie e circa 300 profumerie, quindi è ancora una distribuzione parziale. Questa è un’altra sfida di una marca che vive di un equilibrio delicatissimo tra l’essere aspirazionale, appagare in qualche modo un sogno, ed essere allo stesso tempo democratica dal punto di vista del prezzo e della disponibilità. In questo evidentemente l’e-commerce è già e sarà sempre di più un ulteriore elemento di prossimità e di disponibilità.
Ci sono state problematiche nella distribuzione tra farmacia e profumeria?
Non così tante e questo secondo me conferma che a volte bisogna avere coraggio e poi bisogna avere trasparenza nei rapporti con la distribuzione. Io venivo da esperienze di pura farmacia come cosmetica, erano marche apprezzate e quindi venivano richieste anche da altri circuiti. Il coraggio iniziale di chi ha pensato la marca è stato quello di dire dal giorno uno “noi non sposiamo questo approccio”. È una scelta, non è l’unica possibile ovviamente, ma probabilmente era matura in quel momento, non lo era 10 anni prima e oggi lo è ancora di più. Dal giorno uno, facendo scelte ovviamente ponderate e selezionando gli interlocutori, si è partiti sui 2-3 canali, se mettiamo anche l’e-commerce. E invece la parte nostra e quindi ogni paese, ovviamente ha la propria parte di responsabilità.
Perché due anni fa Colgate ha comprato Filorga?
C’è stato un pensiero a monte del CEO di Colgate, che era in ruolo da due anni circa,
che aveva un mandato dal board di accelerare l’ingresso in cosmetica e nello skincare per ragioni di visione strategica (la popolazione invecchia, i consumi aumentano). È un’azienda che è già leader nel mondo dell’oral care, quindi quando
sei già leader la crescita è più difficile. E poi per ragioni di marginalità, ovviamente il nostro mercato è più profittevole. Peraltro, Colgate aveva già due aziende americane importanti di skincare in portafoglio, cosa che non sa quasi nessuno, quindi è già un gruppo non estremamente diversificato, ma capace di andare a guardare i mercati che crescono oggi e che cresceranno nei prossimi 50 anni. A quel punto, fatta questa scelta, come sempre, è un incrocio di opportunità: Filorga va sul mercato in quel momento, la decisione è stata presa più o meno nel 2018. È stata ovviamente osservata da molti player.
Come si è rivelata quest’acquisizione?
Colgate è un gruppo straordinario dal punto di vista della modalità di integrazione, un’integrazione molto rispettosa delle competenze che sono state trovate. Era anche una delle ragioni dell’acquisizione, comprare know how in qualche modo. È un’azienda con una cultura fortissima che ci sta portando avanti con tematiche di social responsability, di attenzione all’ambiente, di inclusion su cui Colgate è estremamente avanti, ha dei programmi e dei piani, ad esempio sulle fasce sociali meno protette in tutto il mondo da 30 anni, non dai da quando va di moda. E noi queste cose le stiamo imparando. Non siamo più una startup, ma siamo un’azienda molto giovane. Siamo stati molto orientati alla crescita, credo che i prossimi 4-5 anni saranno importanti per noi per prendere possesso di tematiche contemporanee future e quindi rendere questa marca ancora più rotonda.