Pinalli è un player italiano da 84 milioni di euro di fatturato, attivo da circa 40 anni nella distribuzione di prodotti beauty. L’azienda gestisce una rete store fisici, suddivisi tra profumerie, beauty center ed hair-lab, oltre a un e-shop. Raffaele Rossetti, amministratore delegato dell’azienda, spiega come l’orizzonte di sviluppo sia omnichannel e di prossimità.
Pinalli ha registrato un cambiamento importante negli ultimi anni. La sua nomina è indicativa. Lei non fa parte della famiglia fondatrice. Come è cambiato il gruppo?
Quello che ha vissuto Pinalli è la separazione tra proprietà e gestione. È un’azienda familiare che fino a tre anni fa era posseduta e gestita dai fondatori, che sono tuttora azionisti presenti, ma che hanno fatto una scelta che ha aiutato nel processo evolutivo. Si è trattato di costruire una struttura che prima non c’era, aprendo all’ingresso di nuovi manager e dando vita a un progetto che ha fatto cambiare pelle all’azienda. Oggi cerchiamo di essere all’avanguardia e di ricavarci uno spazio, proprio come le grandi realtà.
Oggi l’azienda quanti punti vendita ha e quali sono le stime di fatturato?
Pinalli è una realtà che conta 58 punti vendita e circa 400 dipendenti. Nel 2020 abbiamo chiuso il piano industriale triennale. Ci eravamo dati un obiettivo di fatturato di 100 milioni di euro al terzo anno. Purtroppo è subentrata la pandemia, ma siamo riusciti a tenere, chiudendo il 2020 in linea con gli 84 milioni di euro del 2019. L’ebitda margin è passato dal 10,4% circa al 9,7% circa. Il piano triennale si è chiuso nel 2020 con la conferma che siamo riusciti a creare un gruppo.
Quest’anno parte quindi un nuovo piano industriale…
Siamo già partiti con il nuovo piano, incentrato sull’innovazione digitale. Veniamo da tre anni di trasformazione forte, dove abbiamo puntato su una piattaforma logistica interna per dare servizio al cliente, sia nei punti vendita fisici che online. Questa scelta ci ha resi consapevoli che la gestione dell’online è un altro business all’interno del nostro business. Un conto infatti è vendere, un altro è avere e gestire al meglio una struttura logistica. Vuol dire investire anche in persone e competenza nuove.
Per i prossimi anni che obiettivi ha fissato il Cda?
Il vantaggio di un’azienda familiare non quotata è quello di potersi permettere una visione di medio-lungo termine. Questo non vuol dire che i risultati non siano importanti: un’azienda che va bene è un’azienda che fa utile, e che quindi è solida. Su questo non ci sono dubbi, indipendentemente dal fatto che sia o non sia una realtà quotata. Non dovendo rendere costantemente conto al mercato noi possiamo però lavorare su obiettivi qualitativi e non solo quantitativi, come la trasformazione digitale, che richiede di diventare anche creatori di contenuti. Tra gli obiettivi del piano industriale c’è il passaggio dall’essere retailer all’essere un brand. Non dico che il lavoro sia concluso, ma sicuramente c’è stato un cambio di passo. La parte di contenuto che ora serve è Pinalli che si racconta, in un passaggio dal ‘vecchio’ marketing aspirazionale, al marketing relazionale. Non si parla più di patrimonio di clienti fidelizzati, bisogna far diventare quei clienti una community.
Quali sono i principali cambiamenti che vive il mercato?
Assistiamo a un proliferare di nuovi brand. C’è una chiara accelerazione in questo senso. Oggi forse è più facile creare un brand, anche considerando la forza del terzismo italiano, con gli stessi terzisti che lanciano le loro linee. I marchi che nascono non fanno semplicemente un prodotto, ma creano un modo diverso di comunicare con il consumatore. Quest’ultimo non è cambiato. Semplicemente, ha recepito un modo diverso di sentirsi raccontare un prodotto o una storia. Il consumatore cerca una storia vera, a prescindere che l’interlocutore sia una maison del lusso o un nome nuovo. La partita è trovare nuove modalità di comunicazione con il cliente, non trovare un nuovo canale e basta. Noi siamo una realtà omnicanale. Oltre il 70% del fatturato è generato dai punti vendita. Abbiamo una rete rinnovata e apriremo 4 o 5 negozi quest’anno. Nel tempo il concept di questi store potrà cambiare. Il cliente sta al centro, quindi gli strumenti con cui lo raggiungiamo devono esserci tutti. E anche i brand del beauty ne sono consapevoli. C’è un chiaro valore aggiunto nel contatto con la persona e con il prodotto stesso. È faticoso rendere sostenibile all’interno della nostra azienda la presenza di brand che sposino accordi di distribuzione con player che non vivono di omnicanalità ma che sono specialisti online.
Dove si concentreranno le nuove aperture?
Siamo presenti nel nord e centro Italia. Nel progetto di omnicanalità che portiamo avanti facciamo leva sull’italianità che ci contraddistingue. Siamo la prima catena italiana di distribuzione. Vogliamo essere una catena di prossimità. L’Italia è fatta per lo più da paesi e da cittadine. Non siamo ancora presenti con un flagship a Milano. Avremmo dovuto arrivarci nel 2020 e l’obiettivo rimane attivo, perchè Milano è una vetrina importante. Siamo però presenti soprattutto in città più piccole. L’obiettivo in tre anni è di arrivare a 100 punti vendita. L’e-commerce ci ha permesso di farci conoscere di più in piazze in cui eravamo già presenti, oppure ci ha indicato le zone in cui aveva senso approdare con uno store fisico. È anche questo per noi il senso dell’omnicanalità.