Era attesa da tempo, e i francesi l’avevano già anticipata a gennaio. Ma, lo scorso primo maggio, la notizia è diventata ufficiale. È caduta per tutti una delle barriere più anomale e discusse per i prodotti di cosmetica verso la Cina. L’agenzia cinese per la sicurezza dei consumatori ha eliminato l’obbligo di test sugli animali dei prodotti entranti in quello che è il mercato della bellezza con il maggior tasso di crescita al mondo. I marchi del beauty, sempre più attenti alle questioni di responsabilità sociale e che temevano di alienare i clienti esistenti altrove o di accendere le rivendicazioni sul prodotto, finora hanno dovuto scegliere una delle due strade: affermare di essere al 100% cruelty-free ed evitare un mercato che vale 57 miliardi di dollari, o specificare che il marchio è cruelty free – tranne che in Cina. È vero che, già da qualche anno, la barriera si era ‘smussata’. I prodotti di bellezza di alcune categorie, quelli definiti non special-use, in Cina erano già in grado di evitare in gran parte i test sugli animali prima della commercializzazione dal 2015. Ma si trattava di una classificazione duale non troppo trasparente. Lo prova il fatto che anche un marchio dalla potenza comunicativa, e caratterizzato cruelty-free, come Fenty Beauty, ancora alla fine dello scorso anno aveva accettato di entrare in Cina, senza fare troppa chiarezza su come avrebbe convissuto con il problema etico dei test.
Adesso, gli osservatori ritengono che il mercato si aprirà in modo completo ai marchi stranieri in un momento di crescita. Per i marchi indipendenti ed emergenti (visto che i marchi di proprietà di conglomerati sono già presenti in Cina) dovrebbe essere più facile assicurarsi l’approvazione all’ingresso. Occorre però fare attenzione a due aspetti. Il primo aspetto è il tempo, poiché si prevede un complicato processo di approvazione che richiederà probabilmente da sei a otto mesi. E questo non è certo un incentivo per aziende di piccola e media dimensione. Il secondo aspetto è tecnico. La Cina sta lavorando da tempo su metodi di verifica alternativa ai test sugli animali. Il fatto di aver voltato pagina sul tema potrebbe significare che il Paese ha alzato l’asticella qualitativa nelle valutazioni dei prodotti cosmetici. Da questo punto di vista, il made in Italy può giocarsi uno degli apparati produttivi più all’avanguardia nel mondo. Perciò, la svolta del primo maggio potrebbe rivelarsi un pass per recuperare spazio nell’export oltre Grande Muraglia.