Secondo la ricerca ermeneia, il 67% delle aziende beauty è soddisfatto delle banche. Mentre resta chiara la chiusura nei confronti della finanza, perchÉ gli imprenditori hanno paura di perdere il controllo dell’azienda.
Si affidano alle banche, molto meno agli investitori finanziari. È ciò che emerge dalla ricerca condotta da Ermeneia sul rapporto tra aziende beauty e credito bancario ed extrabancario, presentata lo scorso 21 giugno 2018 nell’assemblea pubblica di Cosmetica Italia. Durante l’incontro, il presidente di Ermeneia Nadio Delai ha dato un giudizio sostanzialmente positivo per quanto concerne l’insieme dei rapporti delle aziende con il sistema bancario: “Il 67% delle imprese cosmetiche si dichiara abbastanza o molto soddisfatto del sistema creditizio”, anche se il 13% (ed è una percentuale significativa) non ne ha bisogno perché ha molta liquidità o è ben capitalizzato. Non mancano punti critici, perché le aziende cosmetiche affermano che le banche ‘corrono dietro’ alle realtà che non hanno bisogno di loro, perché hanno già liquidità, alti guadagni, sono molto dinamiche e internazionalizzate. Le banche cioè, secondo gli intervistati, non sono in grado di comprendere gli aspetti positivi dei progetti presentati per il finanziamento (50%), mentre dovrebbero assumersi i rischi e diventare partner effettivi delle aziende (82%). A questa critica ha risposto Anna Maria Roscio di Intesa Sanpaolo, durante il talk show ‘Banca&finanza’ che si è svolto nel corso dell’assemblea: “La banca non guarda solo i bilanci. È chiaro che un’azienda robusta patrimonialmente e redditizia ha un accesso al credito facilitato, ma nella determinazione del rating si considerano anche aspetti intangibili, come il welfare aziendale, gli investimenti nella responsabilità sociale, nonché il business plan e tutto ciò che il bilancio non recepisce”.
FINANZA, LA CONOSCO MA NON LA VOGLIO
Per quanto riguarda l’extrabancario, Delai ha parlato di un ‘sensibile’ interesse da parte delle aziende cosmetiche. In effetti, il livello di informazione che gli imprenditori hanno sui prodotti finanziari offerti e anche sulla nuova regolamentazione europea è buono. Passando però alle percentuali, solo il 6,1% sta utilizzando società finanziarie e fondi d’investimento, il 2% sta intraprendendo questa strada, e il 18,4% ci sta pensando. Sul fronte del ‘no’, il 32,7% non lo ritiene necessario perché ha abbastanza liquidità o una buona capitalizzazione, il 26,5% ritiene sufficienti i servizi del sistema bancario, e il 14,3% afferma di non essere ben informato in proposito. Da questi dati si deduce che il settore del beauty non avanza ancora una forte domanda nei confronti di privaty equity e di capitale esterno, anche perché una discreta percentuale di aziende non ne ha bisogno. Paradossalmente, sembra che le imprese cosmetiche fossero più interessate all’extrabancario in passato: alla domanda se hanno considerato l’opzione di apertura del capitale agli investitori finanziari, il 18,5% ha risposto ‘sì, in passato’ e il 13% ha detto ‘sì, attualmente’. Risultato che potrebbe essere legato alle mutate condizioni economiche oppure a esempi di ‘liaison’ tra impresa e finanza che non hanno portato buoni risultati e hanno quindi scoraggiato il settore nel complesso. Del resto, sempre nel corso del talk show, Giulia Molteni del Gruppo Molteni e consigliere dell’Associazione italiana aziende familiari, ha ribadito: “Le aziende devono crescere e il private equity può essere una strada, ma al momento non abbiamo esempi eccellenti”. Su questo argomento, Delai ha ricordato che la finanza deve assolutamente diventare ‘reale’, cioè in grado di accompagnare lo sviluppo effettivo delle imprese. “Non basta solo il rafforzamento del capitale – ha aggiunto il presidente di Ermeneia – e l’ingresso di nuovi soci. Il private equity deve aiutare l’azienda rispetto al mercato in cui opera: ad esempio, seguirla nell’apertura alla managerializzazione, nella revisione della governance, nel cercare nuove alleanze di impresa, nell’aumentare la presenza sui mercati internazionali, nella digitalizzazione dell’azienda, nonché nel passaggio generazionale”. Si tratta, insomma, di trovare il partner adeguato, che sia in grado di comprendere l’azienda e soprattutto di non ‘sostituirsi’ all’imprenditore. Infatti la ricerca ha dimostrato che i principali rischi evidenziati riguardo alla presenza nel capitale di un investitore siano la perdita di controllo sull’azienda, l’‘intrusione’ nella gestione aziendale, e una diffidenza legata alla ‘cattiva immagine’ che la finanza ha sull’opinione pubblica in generale. È quanto ha sottolineato anche il neoeletto presidente di Cosmetica Italia Renato Ancorotti, a capo della Ancorotti Cosmetics, il cui 30% è in mano a White Bridge Investments: “Ho un grande feeling con il mio private equity, ed è importante trovare un fondo che sappia rispettare il ruolo dell’imprenditore. Ciò detto, l’ingresso dell’investitore finanziario porta valore all’azienda perché la rende trasparente, la ‘rivolta come un calzino’ e la misura in tutte le sue performance, finanziarie, amministrative, ambientali”.
di Vanna Assumma