Presentata ricerca pambianco sulle diverse industry della bellezza. i marchi più performanti sono nel segmento prestige. il conto terzi registra la più forte crescita. le filiali puntano alla redditività, le profumerie ai servizi.
Le aziende branded devono innalzare l’offerta verso un posizionamento prestige. Per il terzismo è importante crescere dimensionalmente. La distribuzione necessita di spostarsi su prodotti con marginalità più elevata. Infine, le filiali delle multinazionali devono puntare sulla redditività. Sono queste le sfide emerse dalla ricerca elaborata da Pambianco Strategie di Impresa e presentata dal CEO David Pambianco nel corso del 2° Beauty Summit. L’obiettivo della ricerca è stato quello di costruire una ‘mappa’ ragionata delle diverse industry della bellezza in Italia per capire chi ‘pesa’ di più a livello di business e quali sono i margini di miglioramento per ogni segmento di mercato. Sono stati presi in considerazione quattro comparti della bellezza: le aziende branded (cioè titolari di brand), il terzismo, le profumerie (indipendenti e catene) e le filiali tricolori delle multinazionali. Sotto analisi 450 bilanci relativi al 2016 di aziende appartenenti a queste quattro realtà, da cui poi sono state selezionate le società con un fatturato annuo superiore a 3 milioni di euro, quindi 289 aziende. Questo campione, forte di 37mila addetti, ha realizzato un fatturato di 11 miliardi di euro e un ebitda margin dell’11 per cento. Il fatturato medio del campione è stato di 38 milioni di euro, in crescita del 14% in tre anni, e le aziende risultano ben patrimonializzate perché il rapporto tra patrimonio netto e posizione finanziaria netta è pari a 5,6.
L’UPGRADING PREMIA
Le aziende titolari di brand hanno un fatturato medio di 40 milioni di euro, quindi sono più grandi dei terzisti, che invece hanno ricavi medi di 30 milioni di euro, eppure crescono meno di questi ultimi. Le imprese branded sono cresciute del 14% in tre anni, mentre quelle conto terzi del 24 per cento. Inoltre, le prime hanno una quota export più bassa (40% sul fatturato) delle seconde (64%). Focalizzandoci solo sulle aziende con marchi propri, l’ebitda è del 14% ed ha registrato una crescita decisamente leggera (+17% in tre anni). Il livello di patrimonializzazione invece è molto buono (Pn/Pfn -0,6), quindi le aziende non hanno debiti bensì cassa, e questo è importante perché significa che hanno risorse per poter fare operazioni straordinarie. Segmentando in base al posizionamento, si nota che i player con marchi prestige rappresentano il 20% del fatturato totale delle aziende branded. “Si tratta di una percentuale bassa – ha osservato Pambianco – perché altri comparti italiani, come la moda, il design e il wine, hanno molte più aziende attive nell’alto di gamma”. Questo 20% però ha performance nettamente superiori rispetto a chi è posizionato più in basso, infatti esporta il 77% della sua produzione e ha una redditività del 17%, mentre il restante 80% che opera nel masstige e nel mass market ha una quota export solo del 30% e il 13% di ebitda margin. “Significa – ha affermato – che la gran parte delle aziende branded in Italia, non avendo un’offerta premium, esporta poco e guadagna meno rispetto a chi è posizionato più in alto”. La sfida di queste realtà, quindi, è innalzare la produzione verso la fascia prestige, così si incrementa l’export e la redditività ne beneficia. “Essendo realtà ‘relativamente’ piccole – ha concluso – l’ipotesi è che crescano dimensionalmente, soprattutto attraverso acquisizioni”.
TERZISTI AVANTI TUTTA
Arrivando al comparto produttivo, nella ricerca sono state considerate 75 realtà che fatturano 2,3 miliardi di euro, ovvero il 21% di tutto il campione. Sono una realtà ‘in esplosione’ perché crescono molto, infatti i loro ricavi sono avanzati del 24% in tre anni, con due terzi della produzione che va all’estero. Il settore sviluppa un margine ebitda superiore alla media del mercato beauty, pari a 13%, “ma l’aspetto più rilevante – ha sottolineato Pambianco – è la forte crescita della redditività, che è avanzata del 45% negli ultimi 3 anni”. I terzisti quindi sono il settore più in salute del mercato cosmetico, però sono ancora piccoli (fatturato medio 30 milioni di euro), e il loro sviluppo passerà da un aumento dimensionale. “Operando in un settore b2b – ha continuato il CEO – le economie di scala sono fondamentali e in questo comparto è già partito qualche processo di concentrazione che andrà ad aumentare il fatturato medio del terzismo”.
PROFUMERIE, EBITDA IN CALO
I dati scendono sensibilmente quando si arriva alla distribuzione, che nel campione analizzato dalla ricerca Pambianco comprende solo le catene e le profumerie indipendenti con un reddito superiore a 3 milioni di euro. Si tratta quindi di 49 realtà che registrano un giro d’affari di 1,3 miliardi di euro e hanno un fatturato medio di 27 milioni di euro. La loro crescita è molto più limitata rispetto agli altri player del campione, infatti sono avanzate dell’8% in tre anni, e il motivo è anche legato al fatto che svolgono la loro attività solo sul mercato italiano, a differenza di aziende branded e terzisti, e nella Penisola i consumi interni non decollano. I profumieri di conseguenza hanno una redditività molto bassa (4%), che è diminuita del 29% negli ultimi tre anni. “L’obiettivo per il canale – ha osservato Pambianco – è lo spostamento sui servizi piuttosto che sulla vendita di prodotti, o comunque sulla vendita di articoli con marginalità più elevate, anche attraverso esclusive e operazioni particolari, e sull’e-commerce”.
FILIALI CON FORTE REDDITIVITÀ
Arrivando alle filiali tricolori delle multinazionali, il dato rilevante è che hanno un fatturato medio di 53 milioni di euro. “Di conseguenza sono player dominanti, di riferimento nel settore beauty – ha illustrato Pambianco – perché insistono su un unico mercato, l’Italia, e hanno perciò una forza commerciale e distributiva superiore rispetto alle aziende italiane”. Lavorando solo sul mercato interno, ne hanno subito l’andamento stagnante e quindi sono cresciute solo del 9% in tre anni, con redditività del 9%, che però ha messo a segno una progressione del 24% in tre anni. “Le filiali – ha concluso Pambianco – si sono concentrate più sulla redditività che sull’aumento della quota di mercato. La loro sfida oggi è continuare con questo business model e implementare correttamente a livello locale i brand acquisiti a livello centrale”.
di Vanna Assumma