Procter & Gamble ha tagliato drasticamente il numero delle agenzie pubblicitarie con le quali lavora in tutto il mondo. La multinazionale americana, che ha ceduto due anni fa diversi marchi beauty a Coty, ha più che dimezzato gli accordi di collaborazione, passando da 6.000 a 2.500 agenzie creative. E secondo la testata Campaign, il colosso statunitense intende ulteriormente ridurre i rapporti in essere con altre strutture advertising. Sempre secondo quanto riferisce il giornale, il risparmio di P&G da questi tagli sarebbe stato di 750 milioni di dollari e l’obiettivo con le prossime sforbiciate è di risparmiare ancora 400 milioni di dollari.
Il chief financial officer dell’azienda, Jon Moeller, avrebbe detto, nel corso di una ‘investor call’, che P&G ha intenzione di automatizzare maggiormente il processo di buying e media planning, portando la gestione (in gran parte) in house. Moeller avrebbe anche detto che il problema della ‘trasparenza’ è migliorato, riferendosi a un deficit del programmatc advertising, cioè del processo di automazione dell’acquisto degli spazi pubblicitari online: questo sistema a volte non riesce a distinguere i portali-fake, cioè frequentati da ‘bots’ (robot) e non da utenti reali, e quindi posiziona i banner in questi siti senza visibilità, e in altri casi la pubblicità finisce in siti dove vengono pubblicati video di scadente qualità, contenuti inappropriati e immagini violente. L’azienda però sarebbe riuscita a tagliare queste dispersioni, aumentando così la reach del 10 per cento.
La testata riporta anche che nell’anno fiscale chiuso a giugno 2017, l’investimento complessivo di P&G in advertising è sceso dell’1,7% a 7,12 miliardi di dollari, il livello più basso dal 2006.