Non è solo questione di concorrenza. La debolezza delle profumerie si lega a una crisi strutturale. le aziende devono limitare la distribuzione dei marchi, ma i negozi a loro volta devono evolvere. l’esempio di ‘specialist’ e concept store.
La profumeria batte un colpo. Il canale, tra i più in difficoltà negli ultimi anni, sembra intravedere segnali di risveglio. Ma resta la percezione che la svolta definitiva attenda scelte strutturali ancora da completare. Già nel 2014, come emerso dallo Studio Pambianco sul segmento (vedi articolo precedente), è stata registrata una crescita dell’1,7% del fatturato delle prime 62 profumerie indipendenti per dimensione, e del 4,5% delle catene regionali, anche se prosegue il calo (-2,9%) di quelle nazionali. Mentre Npd ha rilevato nel primo semestre 2015 un aumento delle vendite dello 0,5% su un campione di 2.900 profumerie selettive in Italia. Sono comunque segnali deboli che denotano comportamenti diversi sul mercato, dove molti punti vendita ancora abbassano le saracinesche. Tanto che , secondo le previsioni di Cosmetica Italia, il canale arretrerà ancora dell’1% nel 2015. Pesa la crisi che riduce la capacità di spesa, nonché la concorrenza sempre più agguerrita: dalle farmacie, che hanno ampliato lo spazio dedicato alla dermocosmesi, ai drugstore che stanno avanzando a colpi di decine di nuovi punti vendita all’anno, senza dimenticare la pressione di e-commerce e monomarca. Ma, oltre alla concorrenza, c’è un problema strutturale che allontana la fine del tunnel per le profumerie: una crisi di identità strutturale. Le profumerie sono rimaste uguali nel tempo, mentre il consumatore è cambiato, cerca più coinvolgimento, privilegia la ‘shopping experience’ che catene e monomarca hanno cercato di sviluppare, nonché una consulenza specializzata. L’immobilismo del canale, invece, ha fatto sì che la profumeria rimanesse relegata quasi esclusivamente alle ‘signore’, e i giovani oggi provano una sorta di imbarazzo a varcare la soglia di questi negozi. Uno scenario su cui si allunga l’ombra del sorpasso: quest’anno il valore del canale profumerie si fermerà a 2 miliardi di euro, quello delle farmacie a 1,8 miliardi. Da anni il trend di queste ultime è in crescita, e, se non ci sarà un’inversione di tendenza, il primo canale per la cosmetica selettiva diventerà prima o poi quello delle farmacie.
VERSO GLI ‘SPECIALIST’
Il problema delle profumerie, dunque, è di identità. I negozi sono omologati e propongono sostanzialmente lo stesso assortimento di prodotti prestige in tutti i 2.500 punti vendita selettivi in Italia. Prodotti che, tra l’altro, si possono oramai comprare comodamente online e, alcuni di questi, anche nei drugstore. Le profumerie sostanzialmente rimangono un centro di smistamento logistico. Ma proprio questa funzione perde di rilevanza, data la fluidità dei canali. “Purtroppo l’immagine di questi negozi è scaduta – racconta Heidi Schwienbacher, contitolare con la sorella Veronica di Thaler a Bolzano – e per questo abbiamo deciso di non qualificarci più come profumeria, perché è un termine che evoca scarsa professionalità”. In effetti Thaler è una sorta di concept store che si sviluppa su 5 piani, dove, oltre alla vendita di cosmetici, è presente una champagneria, una spa con cabine ed estetiste, una selezionata offerta di accessori moda e presto verrà inaugurato un bistrot con terrazza. Thaler, che ha fatturato 19,9 milioni di euro nel 2014, è l’esempio di una possibile evoluzione del canale profumeria in un concetto lifestyle. Un’altra prospettiva di cambiamento è quella del negozio ‘specialist’, cioè sempre meno generalista, che sviluppa ad esempio un upgrading verso il lusso, verso un ambiente-boutique, piccolo e intimo, che prende le distanze dalle catene caratterizzate da grandi dimensioni espositive. “Il futuro delle profumerie – afferma Giancarlo Zinesi, AD di Sisley (che quest’anno sta segnando una crescita del 12%) – va verso boutique di eccellenza, con brand di alta qualità, una consulenza su misura, e un ambiente accogliente ed esclusivo”. Se le catene hanno punti vendita di superficie superiore ai 200 metri quadrati, la profumeria che si immagina Zinesi non supera gli 80 metri quadrati, offre un servizio di accoglienza, trattamenti riservati ed eventi su invito. “Ciò non toglie – continua Zinesi – che in futuro le catene continueranno la loro espansione, così come i drugstore che miglioreranno il loro livello di servizio”. La pensa diversamente Francesco Fratta di Elizabeth Arden: “Non penso che le profumerie debbano fare un upgrading verso il lusso. O meglio, è necessario che evolvano, ma non rialzando il posizionamento e i prezzi, bensì differenziando i brand in assortimento”. Fratta fa riferimento a etichette nuove, meno conosciute, magari presenti solo in determinati territori, con una distribuzione limitata. Parla della necessità di puntare su marchi diversi anche Micol Caivano, general manager del gruppo Diego Dalla Palma: “La proposta delle profumerie selettive è appiattita. La responsabilità però è anche delle aziende che devono offrire una gamma di prodotti più ridotta e compatta, e soprattutto autorotanti per non appesantire il magazzino”. Caivano spiega come le case cosmetiche abbiano mantenuto lo stesso modello di business dei primi anni 2000, continuando a lanciare prodotti simili l’uno all’altro. “Invece, l’assortimento delle profumerie dovrebbe differenziarsi, ad esempio con marchi in esclusiva – conclude – oppure con prodotti dalle performance più elevate, come i cosmetici professionali”. Il 2015 tra l’altro è un anno record per il gruppo Diego Dalla Palma, che prevede di chiudere a 24 milioni di euro, con una crescita del 24% della divisione selettiva. Infine un altro elemento di specializzazione è la nicchia, come quella della profumeria artistica. Lo sa bene Augusto Mazzolari, AD delle profumerie Mazzolari, che riscontra un leggero calo della sua profumeria tradizionale, mentre l’area della nicchia mostra un bilancio in crescita, così come performa bene il suo negozio dedicato ai prodotti per capelli. Risultato: nel 2014 la società A.M.D da lui fondata ha realizzato un fatturato di 7,9 milioni di euro. Un esempio oltreoceano di successo nell’area della profumeria artistica è quello del retailer Lucky Scent, di cui si è parlato a Pitti Fragranze 2015 nell’ambito di un dibattito in cui erano presenti i due titolari Franco Wright e Adam Eastwood, che hanno aperto uno Scent Bar a Los Angeles, luogo di culto per gli appassionati. “Nel nostro ‘fragrance store’ – afferma il ‘duo’ – le persone entrano e poi rimangono. Trascorrono una o due ore nel negozio, perché è un luogo di socializzazione, dove sorseggiare un caffè o uno spumante, e contemporaneamente ‘sniffare’ essenze. Almeno il 50% dei clienti, una volta scoperto il nostro spazio, ritorna”. Ciò detto, nonostante l’alto traffico instore del negozio losangelino, è curioso che l’85% delle vendite del retailer siano realizzate online, attraverso il loro sito e-commerce.
LIMITARE LA DISTRIBUZIONE
I profumieri chiedono a grande voce che ci sia un intervento deciso da parte delle aziende nel ‘calmierare’ la distribuzione dei marchi prestige, per mantenerne immagine ed esclusività. “La chiave di volta sarebbe proprio un’offerta unica e differenziante – afferma Marco Vaccari, titolare di Profumerie Marco e Luisa Vaccari – ma le aziende dovrebbero selezionare drasticamente i punti vendita cui si rivolgono. Invece, le case cosmetiche non sono collaborative”. Vaccari solleva anche il problema della ‘guerra dei prezzi’, in quanto le aziende vendono i prodotti online a prezzo scontato e questo innesca una corsa alle promozioni cui è difficile sottrarsi: “Ne consegue che anche i negozi sono costretti a scontare – chiosa il profumiere – e la nostra marginalità si riduce ai minimi termini”. Vaccari prevede una crescita del fatturato del 3% nel 2015. Per quanto riguarda la riduzione della distribuzione, è chiaro che si tratta di un gioco di equilibrio che ogni casa cosmetica deve trovare tra le aspettative di crescita e la selezione della rete commerciale. “Il fatto è che le aziende negli ultimi anni hanno ‘sforato’ questo equilibrio – sottolinea Paolo Bevegni, direttore international Collistar – e oggi c’è una sovraesposizione di prodotti, soprattutto per quanto riguarda i profumi”. Make-up e skincare viceversa sono segmenti più selettivi, sia perché il prodotto deve essere spiegato e necessita quindi di maggiore consulenza, sia perché occupano maggiore spazio. “Per questi assi la vendita è più complessa – chiosa Bevegni – e quindi c’è una maggiore selezione dei punti vendita”.
LA CONSULENZA FA LA DIFFERENZA
Il punto di forza di una profumeria ‘specialist’ è la consulenza, elemento di differenziazione rispetto alle catene, che sono nate come punti vendita a libero servizio. “L’alta cosmesi – conferma Zinesi di Sisley – necessita di alta consulenza. Altrimenti il rischio è che le profumerie diventino semplicemente un luogo di negoziazione, un ambiente di contrattazione”. Del resto, l’investimento sulla formazione del personale ha un ritorno sulle vendite e lo dimostrano i dati di Adamis Group Italia, società di servizi e instore promotion: “Nell’ultimo triennio abbiamo inviato consulenti di bellezza e make-up artist in aggiunta al personale delle profumerie – afferma Mario Conti, amministratore unico di Adamis Group Italia – e in questo modo i negozi hanno venduto 500mila prodotti in più rispetto al sell out ordinario del punto vendita”. Oltre alla consulenza di personale specializzato, la costruzione di eventi è indubbiamente un’occasione di coinvolgimento della clientela. Diego Dalla Palma, ad esempio, organizza azioni di co-marketing con Campari per allestire aperitivi itineranti all’interno delle profumerie, servizi di nail-bar, offerta di trucco veloce durante la pausa pranzo, e ritocco eyebrow. Per dare una maggiore garanzia ai consumatori sul servizio e sulla consulenza offerti, Fenapro ha lanciato un progetto di certificazione della qualità rivolto alle profumerie socie dell’associazione che ne fanno richiesta (attualmente sono circa un migliaio su 4.000 soci). L’analisi è fatta da un istituto di certificazione indipendente, dotato di personale che si reca nei punti vendita per monitorare alcuni requisiti, ad esempio che la vetrina sia pulita, l’accoglienza preparata, l’assortimento adeguato. “Le profumerie certificate – spiega Mario Verduci, segretario generale dell’associazione di settore – saranno dotate di un attestato e di una vetrofania da esporre in negozio. In questo modo, le clienti potranno disporre di una serie di garanzie quando entrano in una profumeria certificata, cioè l’autenticità dei prodotti in vendita (non contraffatti), la loro tracciabilità, l’assenza di rischi per la salute, la reale corrispondenza del contenuto all’etichetta”. A metà 2016 terminerà il progetto. Sarà interessante valutare come e con che efficacia la certificazione sarà condivisa con le consumatrici.
di Vanna Assumma