La distribuzione è al bivio: da un lato, l’offerta dai contenuti trasversali come quella dei self service drug; dall’altro, la specializzazione molto spinta di alcuni canali come le profumerie. E le tendenze dell’estero si misurano con le peculiarità italiane.
Il fenomeno che fa tendenza oggi nell’arena distributiva del beauty è l’ibridazione dei punti vendita, seguito dalla speculare tendenza all’iper-specializzazione. Il primo orientamento, l’ibridazione, consiste nell’evoluzione dei canali verso l’integrazione di differenti merceologie e anche diversi posizionamenti di prodotto, fatto che porta a una ‘sfumatura’ dei canali stessi, che sono meno definiti e non più rigidamente schematizzati come un tempo.
E’ quello che accade ad esempio con la presenza sempre più ampia di cosmetici all’interno delle farmacie. O con l’avanzata dei self service drug (Ssd), punti vendita specializzati in prodotti per la cura della persona e della casa, che sono caratterizzati da un posizionamento mass market, ma che hanno in assortimento anche profumi ‘prestige’. Sono realtà la cui crescita è stata impetuosa negli ultimi anni. Fenomeni come Acqua & Sapone e Tigotà, che fanno capo al Gruppo Gottardo, che è passato in otto anni, dal 2006 al 2013, da 186 a 542 milioni di euro di fatturato, con un ebitda vicino al 10%. O ancora LillaPois e LillaMoi, di proprietà del Gruppo Auchan, oppure IperSoap del gruppo toscano General, che ha totalizzato nel 2013 quasi 100 milioni di euro (erano 50 milioni nel 2008) con un ebitda vicino al 10 per cento.
Per quanto riguarda le farmacie, il trend si declina nell’ampliamento dell’area dedicata alla dermocosmesi, con l’introduzione, in alcuni casi, anche di cabine estetiche, sedute trucco e trattamenti. Non mancano contesti in cui il corner dedicato alla bellezza sembra quasi, a livello di layout e di visual merchandising, una profumeria all’interno della farmacia.
TUTTI CONTRO TUTTI
Nell’evoluzione delle farmacie si inserisce, come è accaduto per le profumerie, la tendenza onnivora dei self service drug: dopo aver ‘rubato’ l’esclusività di alcune referenze prestige alle profumerie, questi store mass market per la bellezza e l’igiene ‘tallonano’ adesso le farmacie cominciando a distribuire prodotti che un tempo si potevano acquistare solo dal ‘camice bianco’. Si tratta di alcuni marchi dermocosmetici, che sono sempre stati venduti esclusivamente nelle farmacie.
All’estero questi esempi di ibridazione sono ormai prassi consolidata: “In America la differenza tra profumeria e farmacia non esiste” osserva Alexandra Buccarella, direttore generale della società di servizi Adamis Group Italia. E fa riferimento a drugstore come lo statunitense Duane Reade, che propone un assortimento di farmaci, cosmetici, ma anche integratori e food. Tornando in Italia, se verrà approvata dal Parlamento, all’interno del ddl Concorrenza, la liberalizzazione della proprietà delle farmacie (attualmente riservata solo a persone fisiche, a società di persone e a cooperative a responsabilità limitata), sarà possibile anche per le società di capitali acquisire la titolarità delle stesse. Il che vuol dire che un gruppo della grande distribuzione potrà aprire una farmacia al proprio interno, altro caso di ibridazione tra canali.
Altri esempi di questo rimescolamento delle carte sono Womo, lo store al maschile del Gruppo Percassi, che riunisce sotto lo stesso tetto cosmesi, abbigliamento e barber shop, e anche Essere Benessere, catena di parafarmacie e city store, che vende dermocosmetici, farmaci da banco e un’ampia scelta di food, sia fresco sia confezionato.
L’avanzata dei Ssd
Il primato dell’ibridazione dunque spetta ai self service drug. Questi negozi a libero servizio, quando sono nati, hanno ‘rubato’ quote di mercato alla grande distribuzione (ipermercati e supermercati), dove sono distribuiti i prodotti mass market di bellezza e cura casa. “Questi store – racconta Gianluca Bonetti, AD di Deborah Group – sono category killer perché hanno portato via circa la metà del business cosmetico al grocery”. Infatti nelle prospettive di Gian Andrea Positano, statistics department manager di Cosmetica Italia, la grande distribuzione riorganizzerà il suo assortimento: “Sicuramente ridurrà in modo sostanziale l’offerta dei prodotti bellezza. Già Auchan sta disinvestendo su questo settore, anche perché entra con LillaPois e LillaMoi nel segmento Ssd”. Si prevede tra l’altro nei prossimi anni una crescita del canale drugstore. “Gli Ssd in Italia contano oggi circa 2.000 store – specifica Bonetti – ma nel giro di 5 anni arriveranno a 3.000”.
Il brand di make up Deborah Milano è presente in modo consistente in questi negozi ‘ibridi’ dove oggi viene generato il 50% del fatturato del marchio, una quota in crescita mediamente del 10% l’anno, a mano a mano che aumentano i punti vendita di queste catene. “L’avanzata è così prorompente – conclude l’AD di Deborah Group – che in futuro ben due terzi della cosmetica mass market stimiamo sarà veicolata attraverso i nuovi negozi ibridi”.
I drugstore all’estero
Come sempre è dall’estero che arrivano i segnali del cambiamento. Oltre allo statunitense Duane Reade sopra citato, un esempio di ibridazione è il drugstore inglese Boots che vende, negli oltre 1.500 punti vendita, prodotti di bellezza e farmaci. Un altro esempio è la catena tedesca Müller, che conta punti vendita in Germania, Svizzera, Austria, Ungheria, Croazia e Slovenia. Questo drugstore nasce come canale specializzato in prodotti per la cura della persona e della casa, poi nel tempo ha ampliato l’assortimento al food e ai farmaci. Però, a differenza di quanto sta avvenendo nei self service drug in Italia, fin dalla sua nascita Müller ha ottenuto le concessioni di vendita per i profumi prestige da parte delle aziende titolari dei prodotti. Ciò significa che in Germania, come in altri Paesi europei, i consumatori non percepiscono i drugstore come canali ‘di basso profilo’ o comunque non trovano niente di strano nell’acquistare in questo ambiente un prodotto da 10 euro e uno da 100 euro.
“E’ un tabù che all’estero è stato già infranto” commenta Paolo Bevegni, direttore international Collistar, e aggiunge: “Il motivo per cui in Italia le aziende non danno la concessione di vendita ai Ssd è legato al fatto che non vogliono entrare in competizione con le profumerie”. In effetti nel nostro Paese esistono quasi 3000 profumerie selettive e un rapporto ‘profumerie per abitante’ che è il più alto d’Europa. Invece in Germania, Regno Unito e Usa, dove sono nati Müller, Boots e Duane Reade, sono davvero pochi i negozi specializzati in profumeria selettiva, e le aziende quindi non si pongono alcun problema di conflittualità. Inoltre i drugstore hanno occupato di fatto un terreno vergine, in quanto i profumi prestige non erano distribuiti in modo capillare, mentre i self service drug si caratterizzano per essere punti vendita di prossimità.
Controtendenza: super-specializzazione
Lo sviluppo così aggressivo in Italia delle superfici a libero servizio dedicate alla bellezza e all’igiene ha scosso il mercato, ma già i canali tradizionali stanno affilando le armi. Per contrastare queste nuove realtà, sembrano orientati a giocare la carta della super-specializzazione. Alcune profumerie puntano sull’upgrading, focalizzandosi sul lusso ed eliminando dall’assortimento i marchi di fascia media e medio-bassa. Anche le aziende vogliono aiutare le profumerie in questo riposizionamento, ad esempio attraverso la formazione del personale. “E’ difficile – racconta Roberto Serafini, DG L’Oréal Luxe Italia e AD Helena Rubinstein Italia – che la stessa persona all’interno di una profumeria sappia spiegare bene il valore di una crema da 200 euro, le valenze tecniche di un rossetto e la storia di un profumo. E’ necessario invece che ci sia personale specializzato con competenze sempre più alte”. L’Oréal Luxe Italia organizza corsi ai profumieri sulle nuove tecniche di vendita, sulla corretta esposizione dei prodotti e anche sulle vendite digitali. Questo aspetto, cioè la competenza del personale, è ad esempio un anello mancante nei self service drug. “Questi canali ‘ibridi’ a noi non interessano – commenta Serafini – proprio perché ciò che premia oggi è la specializzazione, e questi punti vendita non dispongono di personale capace di orientare il cliente in modo professionale, non hanno un assortimento continuativo, non offrono confezioni regalo o packaging esclusivi, insomma non consentono una shopping experience unica e lussuosa”. L’adozione di brand in esclusiva è un’altra strada che si ritiene possa differenziare il canale profumeria e contrastare di conseguenza la concorrenza dei self service drug. “La differenziazione dell’assortimento è molto importante, afferma Jean-Luc Michelot, amministratore, insieme a Nicola Catelli di Beautimport, perché oggi le profumerie rischiano la banalizzazione del prodotto. Il 90% del loro fatturato è fatto dagli stessi brand, che fanno capo a solo 5 multinazionali, e tutti i negozi applicano gli stessi sconti”. L’allargamento dell’assortimento a marchi diversi o di nicchia, secondo Michelot, ridurrebbe la guerra sui prezzi che attualmente impoverisce la marginalità e aiuterebbe le profumerie a caratterizzarsi.Un esempio di differenziazione è il punto vendita Thaler a Bolzano: difficile definirlo una profumeria, forse meglio chiamarlo ‘concept store’ dato che su cinque piani offre beauty, champagneria, spa, accessori moda, e in prossima apertura un bistrot con terrazza. La carta della specializzazione sempre più spinta sarà in futuro anche il volano delle farmacie, che dovranno diventare una sorta di templi della salute, con brand dermocosmetici particolarmente studiati per la prevenzione di allergie, di intolleranze o di altre problematiche. Cioè marchi così scientificamente caratterizzati che non potranno essere venduti nei drugstore, trattandosi di prodotti specifici e mirati per i quali si riterrà opportuna la consulenza del ‘camice bianco’.
Chi ha paura dei drugstore? Bulgari: “Ok ai cambiamenti ”
L’avanzata dei negozi mass market non è un problema. Per il gruppo italiano, l’immagine del brand non dipende solo dal canale utilizzato.
Lo sviluppo dei self service drug in Italia, pur avvenendo alla luce del sole, si nutre di un network invisibile, il cosiddetto ‘parallelo’. Si tratta del fenomeno per cui i profumieri o altri rivenditori forniscono le essenze prestige agli store mass market dell’igiene e della bellezza, dato che questi ultimi non dispongono di una concessione diretta da parte delle aziende di lusso. Tra le maison c’è chi grida allo scandalo, perché ritengono di accusare un danno di immagine trovandosi in commercio su questi canali ‘low profile’.
Ma non tutti la pensano allo stesso modo. Valeria Manini, vice president della divisione profumi di Bulgari, ritiene che l’immagine di un brand non dipenda dal canale in cui viene veicolato: “In Giappone e in Corea abbiamo un’immagine molto alta, eppure siamo iper-distribuiti. Ciò che conta non è tanto il punto vendita quanto, ovviamente, la qualità del prodotto, nonché la comunicazione che l’azienda è in grado di creare direttamente con il consumatore, l’immagine che veicola attraverso il web o con attività a lui mirate”. In altre parole, se il cambiamento a livello distributivo è ineluttabile, è meglio cavalcarlo piuttosto che opporsi. E Bulgari Parfums, forte dei suoi 300 milioni di euro di fatturato mondiale nel 2014, ha pianificato diverse azioni per rafforzare l’immagine dei profumi e innalzare il posizionamento. “Stiamo creando all’interno delle profumerie – spiega Manini – alcuni corner Bulgari che richiamino il mondo della gioielleria, che è il nostro heritage. Per esempio, i corner per la collezione Le Gemme, ispirata alla pietre preziose, per le quali abbiamo creato l’interpretazione olfattiva”.
Nel 2016, verrà lanciata una collezione di profumi Le Gemme anche per l’uomo, una gamma di essenze ultra-lusso. Sempre nell’ottica di una chiara veicolazione dell’immagine ai consumatori, Bulgari Parfums propone esperienze che evocano l’ospitalità degli alberghi che portano il nome del gioielliere romano, per comunicare l’arte del ricevere secondo il Bulgari-pensiero.
La gamma di Eau Parfumée, così come le guest collection e le amenities kit, prima presenti solo negli alberghi, da giugno 2015 sono in vendita anche nelle profumerie e nei department store. (v. a.)